Corriere della Sera, 14 novembre 2025
Il ritorno di Cirino Pomicino. La moglie: temevo di perderlo, noi come Sandra e Raimondo
«Io non mi ricordo mai nulla. Paolo, da quanto tempo stiamo insieme? Venticinque anni? Sì, 25 anni di risate. I nostri amici ci dicono sempre: vorremmo essere una mosca e vivere 24 ore con voi». Lucia Marotta in Cirino Pomicino è una donna riservata. Una sola intervista, sempre al Corriere, poi fuori dalla scena pubblica. Dove il marito ha navigato da protagonista nella Prima Repubblica (ex potente ministro democristiano), poi azzoppato da Mani pulite, fino a un ritorno e a un ruolo da vecchio saggio molto ascoltato. In un colloquio con il Foglio, però, per una volta ha evitato disquisizioni sull’ultima manovra del governo o sulla riforma della giustizia. Ha voluto parlare di lei, della sua Lucia. Che per una volta fa uno strappo alla regola di ritrosia che s’è data.
Di cosa ridete?
«Non me lo ricordo mai. Ma siamo come Sandra e Raimondo».
Diversi e indivisibili?
«Totalmente diversi. Siamo molto indipendenti, rispettiamo gli spazi l’una dell’altro. E poi Paolo è romantico, io meno».
Gianantonio Stella scrisse sul «Corriere»: Lucia Marotta più giovane di due secoli e più alta di due metri. Cosa l’ha colpita dell’ex ministro?
«La sua sfacciataggine. Io mai nella vita avrei pensato di poter stare e innamorarmi di un uomo così grande e diverso da me».
Lei era amica della figlia Ilaria. Per anni non vi siete più incontrati, poi per caso al cinema Barberini vi siete di nuovo incrociati.
«Mi ero appena separata».
Era sposata con l’ala destra della Roma, Odoacre Chierico, detto Dodo.
«Un fallimento annunciato. Nella mia famiglia, borghese, nessuno voleva che sposassi un calciatore. Mia sorella mi disse: per il matrimonio ti regalo la sentenza di separazione».
Torniamo al cinema Barberini.
«Separata, avevo lasciato anche il lavoro. Quando Paolo mi chiese il numero di cellulare pensai semplicemente che potesse essermi utile».
Ma non l’ha mai chiamata per un lavoro.
«No, per un appuntamento. E ci andai, perché volevo capire che cosa volesse da me: ero più alta, più giovane, più figa. Invece mi ha cambiato la vita e la testa. Io sono sempre stata molto “doverista”, pesante. Paolo mi ha insegnato cosa sia la leggerezza».
Due trapianti, due bypass. E due terribili polmoniti. La storia clinica di suo marito è invece pesantissima.
«Il periodo del trapianto, a Milano, è stato bellissimo. Stavamo da poco insieme. Io ho lasciato il lavoro e mi sono trasferita senza pensarci due volte. Ce lo ricordiamo come una vacanza».
Mica facile affrontare tanto dolore con il sorriso.
«La spiegazione che mi sono sempre data? Paolo è leggero, ma talvolta anche superficiale. Altrimenti sarebbe depresso. Io non dimentico nulla, sono rancorosa. Paolo mi dice sempre: guarda avanti, volta pagina».
Mai avuto paura di perderlo?
«Quest’ultima volta. Sono amica di Dina Minna. Paolo e Pippo (Baudo, ndr) sono stati ricoverati nello stesso periodo. Io e Dina ci sentivamo sempre e io le confidavo che pensavo che sarebbe morto Paolo, non Pippo. Quando abbiamo dovuto affrontare i due trapianti, c’era sempre una speranza di vita. Stavolta ho pianto tutte le mie lacrime. Sono stata sempre accanto a lui in ospedale. Piangevo e pregavo la Madonna: lasciamelo, non sono pronta».
E quando si è risvegliato dal coma?
«Era stanco. Mi ha detto: lasciami andare».
Invece ora siete a casa.
«Al suo compleanno gli ho fatto trovare una torta con la scritta: Auguri Highlander. Finalmente sono invecchiata anche io. Ho sessant’anni. Non sono più la giovane della coppia».
Se dovesse sintetizzare 25 anni di vita insieme?
«Nessuno ci avrebbe scommesso. Per prima io. Dopo il calciatore, un “tangentato” di 30 anni più vecchio di me (e naturalmente il riferimento alle tangenti è ironico, ndr). Ma siamo qui. Ci siamo trovati ed è stata la più grande fortuna della mia vita. È un matrimonio un po’ più bianco, ma chissenefrega del sesso. Vede? Ora mi guarda e si commuove. Riattacchiamo, così ricominciamo a ridere».