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 2025  novembre 11 Martedì calendario

Cina, il nuovo visto K apre le porte ai cervelli in fuga: obiettivo attrarre gli scienziati più degli Stati Uniti

Se andare a lavorare negli Stati Uniti è sempre più difficile, farlo in Cina è diventato semplice. Soprattutto se il proprio settore d’interesse è la tecnologia. Pechino ha lanciato il visto K che snellisce le procedure per la migrazione nel Paese di persone altamente formate nel campo scientifico. La Cina sta così tentando di recuperare terreno rispetto agli Stati Uniti nella corsa ai talenti globali e alle tecnologie più all’avanguardia.
Il visto K potrebbe essere la rivoluzione cinese del mondo del lavoro. Si tratta di visto che integra sistemi di visti cinesi già esistenti, tra cui il visto R pensato per i professionisti stranieri. La novità, diffusa nel mese di ottobre, tenta di rendere la migrazione in Cina ancor più accessibile, richiedendo infatti requisiti meno stringenti: ad esempio, non c’è bisogno di avere un’offerta di lavoro prima di presentare domanda. In questo modo partire e costruire un proprio percorso professionale altrove è ancora più facile.
Le politiche immigratorie restrittive dell’amministrazione Trump stanno avendo importanti conseguenza anche nel campo della fuga di cervelli. Gli Stati Uniti sono sempre stati la destinazione prediletta da studenti e ricercatori europei: è lì che gli vengono compiuti gli studi scientifici più importanti. Ora, però, sono sempre meno coloro che possono spostarsi lì. Il visto H-1B, la perla degli Stati Uniti in materia migratoria, molto simile nei requisiti al K cinese, è ora fortemente instabile: Trump ha aumentato a 100.000 dollari le tasse che i lavoratori qualificati dovrebbero pagare per richiederlo. Un chiaro modo per disincentivare l’approdo di cervelli in fuga, che finiranno per trasferirsi altrove. Forse proprio in Cina.

Certo è che la nuova misura pro-immigrazione non è stata ben vista dalla popolazione cinese. Il problema è abbastanza semplice: il Paese ha un tasso di disoccupazione giovanile molto alto, pari al 18% della popolazione tra i 16 e i 24 anni, esclusi gli studenti.
La concorrenza per i posti di lavoro nei settori scientifico e tecnico, quindi, è particolarmente intensa, ma allo stesso tempo la Cina ha perso molti studiosi del campo, che si sono fermati a lavorare negli Stati Uniti o in Europa dopo gli studi all’estero (da sempre ritenuti migliori). Ora però il sistema sta invertendo direzione: attualmente sono 711.000 i lavoratori stranieri residenti nel paese, su 1,4 miliardi di abitanti, e il numero è destinato ad aumentare.
La Cina, in questo modo, sta cercando di recuperare il divario con gli Stati Uniti. Per il Partito Comunista la leadership mondiale nelle tecnologie avanzate è una priorità assoluta e il visto K non è l’unico modo: sono molti, infatti, i sussidi governativi erogati per implementare la ricerca, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica. «Pechino percepisce l’inasprimento delle politiche sull’immigrazione negli Stati Uniti come un’opportunità per posizionarsi a livello globale come Paese che accoglie più ampiamente talenti e investimenti stranieri», ha dichiarato ad Associated Press Barbara Kelemen, direttrice associata e responsabile per l’Asia della società di intelligence sulla sicurezza Dragonfly.
Certo è che la Cina continuerà ad avere alcuni ostacoli in più per i lavoratori stranieri, primi fra tutti la barriera linguistica e la censura del Partito su internet. «Gli Stati Uniti potrebbero anche autosabotarsi, ma lo fanno da una posizione molto più competitiva in termini di attrattività per i talenti», ha affermato ad AP Michael Feller di Geopolitical Strategy.«La Cina dovrà fare molto di più che offrire percorsi di visto convenienti per attrarre i migliori».