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 2025  novembre 09 Domenica calendario

E Noelopan non perse a Waterloo

Un delirio molto divertente. Bisogna solo stare al gioco, e chi meglio di Salvatore Silvano Nigro, Giorgio Manganelli, Umberto Eco poteva fingere di prendere sul serio questa follia. La follia è nascosta nel titolo, L’imperatore inesistente, ma anche nei nomi dei tre allegoristi visionari ottocenteschi non proprio arcinoti: Jean-Baptiste Pérès, Richard Whately, Aristarchus Newlight. Dunque, di che cosa si tratta? Dov’è il delirio? Il delirio è che l’imperatore inesistente del titolo è niente meno che Napoleone Bonaparte, il cui nome sembra fatto apposta per generare incredulità (l’avevano intuito anche Nievo, Madame de Staël, Lord Byron, Manzoni, Tolstoj).
Il libro, che è un’invenzione di Nigro (il più lucido e folle dei critici e filologi italiani), raccoglie tre opuscoli di altrettanti mitologi paradossali impegnati a cancellare dalla storia il generale francese, facendolo passare per un errore, un’allucinazione, «il primo degli onnipotenti che non sono mai esistiti». Così scrisse Manganelli quando uscì il libro, apparso in prima edizione nel 1989 nella collana «Il divano» e ora trasferito, sempre da Sellerio, nella «Memoria» con l’aggiunta di Manganelli stesso e di Eco.
C’è da divertirsi in questa triplice gigantesca sceneggiata (Eco vi vede una sorta di Kazzenger ante litteram, la rubrica pseudoscientifica inventata da Crozza). Pensate scrivere oggi che Berlusconi non è mai esistito, è stato solo una svista, un refuso sulle bozze della Storia, o che Trump è il frutto dell’immaginazione o della manipolazione universale. C’è da divertirsi, ma c’è anche da capire chi sono e perché quei tre si sono imbarcati in un’impresa tanto impegnativa quanto palesemente inverosimile.
Il francese Pérès (1752-1840) è un magistrato giansenista e conservatore della biblioteca di Agen. Il suo opuscolo appare nel 1827 con un lungo titolo che già dice tutto: Come qualmente Napoleone non è mai esistito, ovvero grande errore, fonte di un numero infinito di cose errate da correggere nella storia del XIX secolo. Whately (1787-1863) è un teologo anglicano che insegna a Oxford prima di diventare arcivescovo di Dublino. La sua principale occupazione è confutare quei filosofi razionalisti che confutavano i fatti pseudostorici delle Sacre Scritture e le parabole miracolistiche. Il suo pamphlet esce anonimo (vivo Napoleone!) nel 1819, e si intitola Dubbi storici su Napoleone Buonaparte. Infine, dai «dubbi» si passa alle «certezze», e il reverendo William Fitzgerald (1814-1883), segretario di Whately, nel 1851 pubblica, firmandosi con lo pseudonimo di Newlight (Nuova Luce), le sue Certezze storiche relative ai primi anni della storia d’America, presentandole come commentario a un fantomatico Libro delle cronache della terra di AICNARF. Già scoprendo le proprie carte con quel retrogrado di FRANCIA.
È appunto una sorta di moto (astronomico) retrogrado quello che governa la trilogia messa insieme dal regista Nigro: un principio di movimento nel verso opposto a quello che in genere consideriamo diretto. Nel senso che la Storia viene letta al contrario e NAPOLEON, abbagliato dalla nuova luce di Fitzgerald-Newlight, diventa NOELOPAN, anzi il gran capo NOEL-OPAN, cioè un’entità mitica, in sostanza inesistente, a meno di credere (è questa la sfida) che i miti siano creature in carne e ossa. Scrive Nigro: «La filologia del segretario (poi vescovo di Killaloe) ristabilì il principio di verità come ribaltamento ottico dell’“errore”: rinarrando storia e geografia, fatti e persone, attraverso impensate mappe linguistiche, rimescolamento di continenti e remote mitologie di ombre senza corpi». Infatti, datò la sua cronaca 1° aprile, giorno del fatidico pesce. È un gioco molto divertente ma anche molto serio, suggerito com’è da una prospettiva ideologica (teologica) negativa e insieme affermativa tipica della parodia: da una parte negare sostanza, sfottendoli, ai propugnatori illuministi della razionalità e del progresso storico, dall’altra promuovere l’idea che se nulla è certo, compreso ciò che viene dichiarato come storia, tutto è mito. E nessuno può escludere, appunto, che mito e esistenza siano incompatibili (Manganelli).
Gli obiettivi polemici sono per lo più riconoscibili. Basti dire qui che quello preso di mira da Pérès è il libro del professore di eloquenza latina Charles-François Dupuis, L’origine de tous les cultes, da cui si parte per rivendicare come Napoleone fosse una personificazione del Sole. L’argomentazione stringente quanto assurda, nel portare alle estreme conseguenze il ragionamento del suo avversario, non manca però di fascino.
L’anglicano Whately se la prende con lo scetticismo radicale di Hume per arrivare a sostenere che se va censurata la «prontezza con la quale gli uomini credono» (in Dio), allora non è detto che «l’incontestato non sia necessariamente incontestabile». Intendendosi per «incontestato» proprio il generale. Il terzo testo ha un bersaglio dichiarato: la Vita di Gesù di David Strauss che interpreta i Vangeli come testo di mitografia.
Ora, confesso di aver apprezzato soprattutto la seconda anta del trittico, ma va detto che tutto questo brillante garbuglio (che non necessariamente richiede chissà quali conoscenze erudite per essere gustato) sollecita alcuni pensieri utili alla nostra contemporaneità così esposta. Primo punto: la visibilità sovrabbondante che rischia di ridurre all’inesistenza. Lo dice bene Manganelli: «Da un lato l’esistenza è “ciò di cui si parla”; all’opposto, “ciò di cui si parla” è puro flatus vocis, ciò che non esiste».
Secondo punto. Sull’uso dell’iperbole. Qui l’argomentazione è spesso giocata sul ributtare in faccia, facendogliela pagare, all’avversario l’aggettivazione incontrollata che ha accompagnato la figura di Napoleone: «Se consideriamo la straordinaria natura del personaggio e delle sue gesta, ci sarebbero molte altre cose su cui indagare: la grandezza smisurata degli eventi, nonché la loro eccezionalità ecc.», è un esempio dell’ironia sprezzante di Whately. Ma se qualcosa hanno in comune le tre requisitorie, questo qualcosa è l’invito alla cautela nello scialo esagerato di «fantastico» e «meraviglioso», «fantasmagorico» e «straordinario». Analogie con l’oggi? Vedete voi.
Terzo punto. Il sospetto, che viene sempre da Whately, nei confronti delle gazzette, «notoriamente» portate a inventare e favoleggiare. Con conseguente richiamo al controllo delle testimonianze e al fact checking, come si chiamerebbe oggi: «Esaminiamo le informazioni in nostro possesso...». Diffidare e verificare: «Chi siano questi corrispondenti, che mezzi abbiano per acquisire le informazioni, o se addirittura esistano, noi non abbiamo modo di controllare». E ancora: «Ci troviamo nella medesima condizione degli indù, che ingollano tutto ciò che raccontano i loro preti». Da che pulpito, si direbbe. Fatto sta che l’avvertenza è ancora più urgente per noi. Forse Kazzenger aveva ragione?