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 2025  novembre 10 Lunedì calendario

Giovani in fuga dall’Italia. All’estero quasi 5 milioni per un futuro che manca

In Italia il “pianeta giovani” è una risorsa sempre più scarsa, poco e male utilizzata. È questa l’indicazione che emerge dalla lettura dei dati di fonti diverse che fotografano la condizione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni: un arco di tempo nel quale hanno finito di studiare e sono alla ricerca di un’occupazione. «Un mondo del lavoro più inclusivo per me mette al centro la garanzia di un lavoro più soddisfacente per tutti. È quello a cui dobbiamo tendere. I numeri che stiamo mettendo assieme in termini di occupazione e tasso di disoccupazione che cala – ha dichiarato la ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone – sono passi verso il risultato della piena integrazione lavorativa di chi ha sempre avuto una difficoltà di coinvolgimento in questo senso. Penso alle donne e ai giovani sottolineando che al momento abbiamo cinque generazioni nel mercato del lavoro, e oggi non abbiamo bisogno di creare una competizione intergenerazionale. Non bisogna rinunciare a certi lavoratori per far spazio ad altri».
Eppure i giovani sono una risorsa sempre più scarsa. Secondo un report realizzato dall’economista Mauro Zangola, al primo gennaio 2025 in Italia i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni sono 8.963.027, 4.686.984 sono uomini, 4.276.013 sono donne. I giovani stranieri della stessa età sono 1.026.404, l’11,4% del totale. Negli ultimi 33 anni, tra il 1992 e il 2025 l’Italia ha perso 4.484.797 giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni (-33.2%): gli uomini sono diminuiti del 31,2%, le donne del 35,5%. Alla fine del 2030, secondo lo scenario medio delle previsioni Istat con base 2024 l’Italia avrà 98.260 giovani in più (+1,1%). Se da una prospettiva di breve periodo passiamo ad una di medio periodo lo scenario cambia radicalmente: al 2050 l’Italia perderà per strada 2.249.194 giovani tra i 15 e i 29 anni (-25.3%).
Oltre a essere pochi, i ragazzi sono anche una risorsa poco utilizzata. Nel nostro Paese nel 2024 il tasso di occupazione dei giovani in età compresa tra i 15 e i 19 anni è 34,4%. Ciò equivale a dire che lavora poco di un terzo dei 15-29enni, con differenze significative di genere e tra le diverse circoscrizioni territoriali. Il tasso di occupazione delle giovani è inferiore di 10 punti percentuali a quello dei coetanei maschi; al Nord lavora il 41,6% dei giovani, al Centro il 36,7%, al sud il 24,5%. Negli ultimi 20 anni il tasso di occupazione dei 15-29enni è diminuito di 7,7 punti percentuali (da 42,1% a 34,4%): quello degli uomini di 8,7 punti; quello delle donne di 6,8 punti percentuali. Ma in Ue i giovani lavorano molto di più che da noi. Il tasso di occupazione dei 15-29enni italiani (34,4%), infatti, è il più basso nell’Europa a 27. La media è 49,5% con una punta del 79,8% in Olanda. In Germania lavora il 62,95 dei 15-29enni; in Francia il 48,6% per citare solo Paesi con cui ci confrontiamo e mettendo in risalto solo le posizioni di vantaggio. Se l’Italia avesse lo stesso tasso di occupazione della Germania avremmo 2,5 milioni di giovani occupati in più.
Il terziario, evidenzia il report, rimane uno sbocco obbligatorio. Nei primi 6 mesi del 2025 sono stati assunti 1.590.802 giovani fino a 29 anni, l’agricoltura ne ha assorbiti lo 0,2%, l’industria il 9,0%, il comparto delle costruzioni il 6,4%. Il restante 84,4% è stato assorbito dal terziario. Il 45,2% (il quintuplo degli assunti nell’industria) ha trovato un’occupazione nel settore del «commercio, trasporti, servizi di alloggio e ristorazione». Il 22,7% l’ha trovata nel comparto «attività professionali, scientifiche e di servizi alle imprese». Tra il 2014 e i primi 6 mesi del 2025 sono cresciute le quote di giovani assunti nel commercio (passata dal 40,4% al 45,2%) e nelle costruzioni (da 5,3% a 6,4%) mentre è diminuita la quota di giovani assorbiti dall’industria scesa dall’11,6% al 9,0%.
Ma i contratti restano precari. Nei primi 6 mesi del 2025 sono stati assunti alle dipendenze 1.590.802 giovani con meno di 29 anni e, di questi, l’82,4% è stato assunto con contratti precari o se si preferisce «instabili». Tra il 2014 e i primi 6 mesi del 2025 la quota di assunti con contratti precari è salita di quasi 10 punti percentuali, passando dal 73,6% all’82,6%. La precarietà non è più una «prerogativa» del settore privato. Nel 2023 il 51,6% dei dipendenti pubblici con meno di 29 anni ha un contratto a tempo determinato. Sempre nel primo semestre del 2025 1.120.040 giovani con meno di 29 anni hanno interrotto il rapporto di lavoro alle dipendenze: il 61,4% per scadenza del contratto, il 27,5% per dimissioni, il 4,4% per motivi di natura economica (crisi dell’azienda), il 3,0% per altri motivi. «Sommando le percentuali delle cessazioni dovute a scadenza del contratto e a dimissioni, si scopre che al termine dei primi 6 mesi del 2025 l’88,9% dei giovani non è più in servizio»,
sottolinea Zangola. «Il confronto con l’Europa ci dà la dimensione dei ritardi accumulati e di quanto bisogna fare per dare ai nostri giovani una dignità lavorativa almeno pari a quella della media dei coetanei europei. Fino a quando per i giovani la precarietà sarà il prezzo da pagare per trovare un’occupazione? Fino a quando si pensa di andare avanti con questo mercato del lavoro che non solo alimenta incertezza e povertà ma incide negativamente sui livelli di produttività già bassi del nostro sistema economico e quindi sulle sue capacità di crescita?», si chiede Zangola.
L’altra faccia della precarietà è il bisogno di un sostegno intergenerazionale, che non sempre può esserci. Alle tante spese che le famiglie sostengono se ne aggiunta un’altra: l’aiuto ai figli in difficoltà a causa del lavoro scarso, precario e poco retribuito. In Italia le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni, concentrate per il 40% al Sud e nelle Isole dove sono molti i giovani che non lavorano. «Le nuove generazioni cercano un lavoro che li rispetti, li valorizzi, che non li schiacci, che lasci spazio alla vita, al tempo per sé, ai desideri, alle passioni – ha commentato il leader della Cisl Lombardia Fabio Nava alla presentazione di un’indagine del sindacato sul lavoro giovanile -. I ragazzi non sono più sedotti dal mito del posto fisso, ma questo non significa che abbiano rinunciato alla stabilità, al senso profondo del proprio impegno. Però non sopportano più tirocini infiniti, straordinari non pagati, contratti leggeri e fragili come carta velina. Vogliono dignità, non paghette. Ambiscono a potersi costruire un futuro, una famiglia: non è vero che non vogliono mettere al mondo dei figli. Lo desiderano, ma troppo spesso sono costretti a rimandare o a rinunciare». E la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese, ribadisce: «L’apparente aumento dell’occupazione nasconde fragilità e disuguaglianze. Giovani e donne sono ancora penalizzati e cresce il divario tra chi ha un lavoro stabile e chi resta intrappolato nella precarietà e nel lavoro nero. Oltre la quantità, conta la qualità del lavoro».