Robinson, 9 novembre 2025
Alla ricerca del Proust perduto
Marcel Proust, ancora lui. La Biblioteca Nazionale di Parigi ha lanciato una campagna di donazioni per potersi aggiudicare un’eccezionale collezione di documenti autografi: 900 pezzi, valore 7,7 milioni di euro. I fan rispondono; i gruppi online a lui dedicati si moltiplicano, baluardi di resistenza della lettura lunga, altro che deficit di attenzione. E grandi novità, intanto, emergono nella storia editoriale della Recherche – già all’origine romanzesca. Compaiono nuovi colpevoli, nel muro di consulenti editoriali, scrittori, editori, giornalisti che rifiutano di pubblicare il romanzo di Proust. Si alleggeriscono le posizioni consolidate di rei confessi, si affacciano grandi stranieri (Ezra Pound tra tutti), compaiono ignote figure di angeli della tipografia, si scoprono nuove sfaccettature della personalità di Proust (mentre si conferma il suo snobismo, e cene al Ritz destinate non alla mondanità, ma al lavoro), e mille altri accidenti della pubblicazione – piena di inciampi – del capolavoro proustiano. Ma si conferma il lieto fine: il romanzo, che ha sconcertato in blocco gli editori – ed è stato largamente incompreso dai critici – piacque, subito, ai lettori. Du côté de chez Swann (il titolo che costernava gli amici di Proust, «Inconcepibile, tanto è qualunque»,) si vendette benissimo – e anche questo diventa oggi una storia a sé. All’origine di questo settoriale, ma rilevante piccolo sisma nell’universo critico della Recherche sta, come è da aspettarsi, il grandissimo proustiano Bernard de Fallois (da editore, gli si deve la scoperta di Joël Dicker).
Depositario, per i suoi fondamentali lavori, di una mole di carte proustiane, ne ha restituite alla famiglia una piccola, ma vitale parte solo in morte, nel 2018. Ne sono nati i 75 Fogli, archeologia narrativa della Recherche, e ora le corrispondenze di Proust con gli editori Grasset e Gallimard, affidate a uno specialista di storia dell’edizione, Pascal Fouché. Scrittore (e collezionista, sia detto del tutto parenteticamente, di flip-book, i libri minuscoli che, sfogliati rapidamente, danno all’immagine l’illusione del movimento), Pascal Fouché, vagliando gli archivi editoriali e le acquisizioni dal fondo Fallois cura, con rigore e vivacità, tutte le lettere, note e no, di Proust e Bernard Grasset (Correspondance, preceduta dal saggio Proust presso Grasset, un’avventura editoriale, da Grasset) e, presso Gallimard, le Lettres retrouvées (1912-1922) di Proust e Gaston Gallimard. Ben si sa delle reazioni dei primi editori. Il lettore di Fasquelle: «in capo a settecentododici pagine, non si ha la minima, ma proprio la minima nozione di che cosa si tratti». Il direttore di Ollendorff: «Forse sono duro di comprendonio, ma non capisco come uno possa impiegare trenta pagine a girarsi e rigirarsi nel letto».
Per il Mercure e Calmann-Lévy il libro, considera lo stesso Proust, è troppo osceno. La N.R.F. (poi Gallimard) restituisce il manoscritto senza commenti. Ma tocca rivedere tutte le nostre care memorie sulla leggendaria autoflagellazione di André Gide per la vicenda: «Il rifiuto di questo libro», scriverà a Proust nel 1914, «resterà il più grave errore della N.R.F., e (poiché ho la vergogna di esserne molto responsabile) uno dei rimpianti, dei rimorsi più cocenti della mia vita». Ora, la decisione fu collettiva. Jean Schlumberger valutò, senza neanche aprire «il blocco dei manoscritti» (e questo confermerebbe la testimonianza della cameriera di Proust Céleste, che trovò i suoi nodi non disfatti) che un’opera che si annunciava di otto o dieci volumi «avrebbe schiacciato una casa editrice appena nata», di cui era cofondatore. E per lettera scriveva: «Gide si è battuto il petto nel modo più incauto. Dico che nessuno, né Gide, né Gaston Gallimard, né Copeau, né io avevamo letto il manoscritto. Al massimo lo avevamo pizzicato qua e là, la scrittura ci era parsa scoraggiante. Lo abbiamo rifiutato per le dimensioni enormi e per la reputazione di snob che aveva Proust. Meglio confessare di non averlo letto che accusarsi di non averne colto la bellezza».
Ma a conforto di tutti gli scrittori misconosciuti, leggiamo ancora, di Schlumberger: «Cominciato la lettura di Proust» (14 novembre 1912), e, il 21: «Decisamente, lo rifiutiamo». Ci impiegano alla fine un mese, e intanto anche Jacques Copeau ha rifiutato un estratto per la loro rivista (Proust si offre lo stesso di finanziare la creazione del suo teatro). Il romanzo lo pubblica, a pagamento, Grasset, senza averlo letto (glielo dice). Un volume di 1300 pagine, o due di 650? Proust sa benissimo che i nuovi romanzieri prediligono azioni brevi e pochi personaggi (i suoi, saranno 2500), «ma io bisogna pure che fili le mie frasi come un baco da seta»: «sto come un bruco», scrive già nel 1905, la scrittura è una questione prettamente fisiologica. Il problema delle dimensioni è complicato, perché Proust vuole pagine chiare e leggibili, non troppo fitte; alzare il prezzo? No, Proust paga la differenza, e le correzioni sulle bozze, e la pubblicità. Trentacinque correttori, perlopiù donne, lavorano sulla sua scrittura impossibile, nessuno capisce “cattleya”, alcuni errori sono esilaranti. Grasset, geniale e nevrotico, crolla, il suo socio, Louis Brun, incostante in amore, finirà accoltellato dalla seconda moglie. Ma da tempo Proust si è “smaritato” da Grasset; lo definisce «non probo» e non lo riceverà, ma oggi leggiamo i conti: Grasset ha venduto 2872 copie, (alcune, poche, non dichiarate); Proust ha contribuito con 3.400 franchi, Grasset ne ha guadagnati 4.700. Per consacrare con la firma dei contratti il passaggio alla N.R.F./Gallimard, Proust invita al Ritz Gaston, che conclude, «mangiando un tenerissimo pollo, uno degli affari più importanti della casa editrice». Un’altra cena serve a regolare una questione di diritti in cui Proust ha tutte le ragioni, e l’amministratore resiste. Non si trova in libreria Swann: tutti i suoi amici, protesta l’autore – la principessa de Chimay e la marchesa de Polignac e così via – sono costretti a passarselo. Proust apprezza i “capolavori” di una redattrice finora sconosciuta, e rimane perplesso quando Ezra Pound promuove la traduzione in inglese pensando a Ford Madox Ford «e al suo montante ragionevole»: alla fine si sceglie Charles Scott Montcrief che folgorerà il titolo Du côté de chez Swann, con tutte le sue particelle, nel dinamico Swann’s way.