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 2025  novembre 10 Lunedì calendario

La Cassazione: l’azienda può controllare il pc del dipendente infedele

Un dipendente che accede migliaia di volte ai server aziendali, scarica milioni di file riservati e li invia all’esterno. Un’azienda che se ne accorge, verifica il computer in dotazione e scopre l’abuso e licenzia. È la vicenda finita davanti alla Corte di Cassazione, che ha confermato la legittimità del provvedimento e, soprattutto, il principio secondo cui l’azienda può controllare i dispositivi dei dipendenti se ha motivi fondati per sospettare condotte scorrette, purché i lavoratori siano stati preventivamente informati delle regole sui controlli.
10 milioni di dati sottratti
La storia giudiziaria riguarda un dipendente infedele, secondo quanto ricostruito nei vari gradi di giudizio, che in 8 mesi aveva effettuato oltre 54 mila accessi non autorizzati al sistema informatico della società per cui lavorava, estraendo più di dieci milioni di file con dati lavorativi, informazioni personali e documenti contabili. Non solo: aveva anche inviato 133 fatture relative ai clienti dell’azienda a dieci indirizzi email esterni, violando la riservatezza e le policy aziendali.
Il licenziamento e il ricorso
Una volta scoperto il tutto, l’azienda lo aveva licenziato. Ma il lavoratore aveva impugnato il provvedimento, sostenendo che i controlli informatici fossero “illegittimi” e che non gli fosse mai stata fornita un’informativa adeguata sulla possibilità che l’azienda verificasse i dispositivi in dotazione.
La decisione della Cassazione
Gli Ermellini non gli hanno dato ragione. La Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che i controlli effettuati dal datore di lavoro erano legittimi perché realizzati nel rispetto delle norme dello Statuto dei lavoratori (articolo 4) e delle policy aziendali interne. La società, infatti, aveva comunicato ai dipendenti – tramite un regolamento sull’uso degli strumenti informatici – che, in caso di anomalie, sarebbero potuti essere eseguiti controlli per verificare eventuali violazioni, nel rispetto della legge e delle tutele sulla privacy. Tali informazioni, secondo i giudici, rendono il lavoratore consapevole della possibilità di monitoraggi in presenza di comportamenti sospetti, e quindi le prove acquisite risultano pienamente utilizzabili.
Violazione della fiducia
Il verdetto descrive condotte considerate “particolarmente gravi”: un numero abnorme di accessi abusivi, un arco temporale prolungato (da ottobre 2020 a maggio 2021), l’invio di decine di mail con allegati sensibili a soggetti esterni. Azioni che, secondo i giudici, hanno esposto l’azienda a rischi patrimoniali, danni d’immagine e potenziali sanzioni del Garante Privacy. In più, durante l’orario di lavoro, il dipendente si sarebbe dedicato ad attività estranee ai propri compiti, dimostrando disinteresse e violando i doveri di fedeltà e diligenza previsti dal contratto.
Il principio giuridico
Con questa sentenza, la Cassazione ribadisce un principio ormai consolidato: i controlli sugli strumenti aziendali sono ammessi se i dipendenti sono stati informati delle modalità e dei limiti di utilizzo. Non solo: le prove ottenute in questo modo sono valide anche a fini disciplinari e il licenziamento è legittimo quando le violazioni compromettono il rapporto di fiducia. In altre parole, se un lavoratore usa in modo scorretto i mezzi informatici dell’azienda, il datore di lavoro può intervenire – fino al licenziamento – purché lo faccia nel rispetto delle regole.