repubblica.it, 10 novembre 2025
Cecchini per gioco a Sarajevo, la procura di Milano apre un’inchiesta: “Fra loro anche italiani”
Sparavano dalle colline sopra Sarajevo sui civili inermi. E per farlo pagavano somme «ingenti» ai serbi. Anche 80-100 mila euro di oggi. Tra i cecchini responsabili di migliaia di vittime durante l’assedio della capitale bosniaca, dal 1992 al 1996, c’erano anche tiratori italiani. Non soldati ma “turisti di guerra” che partivano il venerdì da Trieste per la tremenda caccia all’uomo. Ne è convinta la procura di Milano, che ora indaga con una chiara ipotesi di reato ed è pronta a convocare i primi testimoni di quel safari di guerra. In cima alla lista un ex 007 bosniaco, che quei fatti li ha vissuti e sentiti durante il massacro di 11.541 civili, di cui 1.601 bambini e con oltre 60 mila feriti.
L’inchiesta milanese è aperta per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abietti. Il pm Alessandro Gobbis punta a rintracciare gli italiani disposti, tra il ‘93 e il ‘95, a pagare per giocare alla guerra e ammazzare civili indifesi «per divertimento». Sborsando di più – secondo testimoni – per poter colpire i bambini, in un prezzario della disumanità. Lombardi, tra cui un milanese allora titolare di un clinica privata, ma anche piemontesi e del Triveneto. Il profilo: simpatizzanti (o politici) di estrema destra, la passione per le armi sfogata al poligono o in battute di caccia, la «sadica» ricerca di adrenalina. La procura e il Ros dei carabinieri hanno già una lista di testimoni da sentire per cercare di chiudere i conti con la storia. Tra questi c’è E. S., ex militare dell’intelligence bosniaca, pronto a raccontare quanto visto e sentito da un soldato serbo catturato: i trasporti in prima persona dei “cacciatori” di uomini, da Belgrado dove atterravano con la compagnia Aviogenex (serba con base a Trieste) alle colline sopra Sarajevo. E i contatti di allora tra gli 007 bosniaci e gli omologhi italiani, che dalle carte sapevano dei “turisti di guerra”.
Ma c’è anche un funzionario sloveno dei servizi segreti, la vittima di un cecchino salvato da un mezzo dell’Unprofor, la forza di interposizione dell’Onu in Bosnia e Croazia durante la guerra. E ancora due genitori di una bambina di un anno uccisa sulla “sniper alley”, la strada dei cecchini, e un vigile del fuoco, ferito, che già all’Aja, nel processo a Slobodan Milosevic, aveva raccontato dei “tiratori turistici” con vestiti e armi che stonavano col contesto: «Sono addestrato e so riconoscere quando un ragazzo senza famigliarità con una zona viene condotto quasi per mano in un’area da chi la conosce bene».
Potrebbe essere sentito anche il regista sloveno Miran Zupanic, che col suo documentario Sarajevo Safari ha cucito bene storie e testimonianze. Tanto da convincere a intervenire sulla vicenda – contenuta in un esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni con la collaborazione dell’avvocato Nicola Brigida e dell’ex giudice e avvocato Guido Salvini – anche l’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Kari?. È lei che in una denuncia alle autorità bosniache e ora anche a quelle milanesi, chiede – in attesa che Sarajevo si costituisca persona offesa nel procedimento – che «si indaghi e si consegnino alla giustizia i responsabili. Coloro, denuncia, che secondo un ufficiale dei servizi segreti sloveni per sparare a un bambino pagavano di più. Parole ascoltate dagli stessi autori: ricchi stranieri amanti di imprese disumane».