repubblica.it, 10 novembre 2025
Il costo nascosto dell’intelligenza artificiale: “Presto inquinerà come 10 milioni di auto”
Non è chiaro se l’intelligenza artificiale ci salverà grazie alle sue idee brillanti o ci condannerà a un ulteriore bagno di CO2, con la sua fame di acqua ed energia. Delle promesse dell’Ia già si discute da tempo. Oggi uno studio della Cornell University mette invece l’accento sui suoi costi per l’ambiente. L’intelligenza artificiale, a ogni nostra domanda, si attiva all’interno di computer in data center che raggiungono le dimensioni di giganteschi hangar e vengono alimentati da enormi quantità di elettricità.
Il calore generato dalle macchine viene disperso con sistemi di raffreddamento ad acqua. La ricerca della Cornell, pubblicata su Nature Sustainability, traduce questi fabbisogni in costi per l’ambiente. Al ritmo di crescita attuale, è il calcolo, nel 2030 l’Ia arriverà a consumare ogni anno l’acqua necessaria a 10 milioni di cittadini americani. Le sue emissioni saranno equivalenti a quelle di 10 milioni di auto (sempre americane, che hanno consumi medi superiori rispetto alle auto europee).
In valore assoluto, per le emissioni si tratta di una cifra compresa tra 24 e 44 milioni di tonnellate di CO2. Per i consumi idrici invece si parla di circa un miliardo di metri cubi di acqua in dodici mesi. “L’intelligenza artificiale sta cambiando ogni settore della società, ma ha un’impronta ambientale non indifferente in termini di energia, acqua ed emissioni di anidride carbonica” sintetizza il coordinatore dello studio, Fengqi You, professore di ingegneria dei sistemi energetici alla Cornell University di New York.
Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) i data center consumano attualmente l’1,5% dell’elettricità prodotta nel mondo, ma potrebbe raddoppiare nei prossimi 5 anni. L’università della California nei mesi scorsi aveva calcolato che una risposta da cento parole fornita dall’intelligenza artificiale costa mezzo litro di acqua e 0,14 chilowattora (14 lampadine a led accese per un’ora).
Molti centri di calcolo, lamentano i ricercatori, vengono realizzati dove l’intelligenza artificiale ha più sviluppatori, inclusi luoghi aridi come Nevada e Arizona. Aree più ricche di risorse idriche o ventose (ammesso che gli Stati Uniti invertano la rotta e decidano di tornare a investire su questa fonte energetica) potrebbero fare molto per ridurre l’impatto ambientale dell’Ia. Per gli autori della ricerca collocando i data center in luoghi più adatti i margini di miglioramento arriverebbero al 73% per le emissioni di anidride carbonica (grazie alle rinnovabili) e dell’86% per il consumo di acqua (anche realizzando sistemi di raffreddamento più efficienti).
Non è tanto al sole e al vento che i giganti dell’informatica sembrano però rivolgersi oggi. Voraci di elettricità, preferiscono affidarsi piuttosto all’energia dell’atomo. Il presidente americano Donald Trump la settimana scorsa ha firmato una partnership con la Westinghouse Electric da 80 miliardi di dollari per la costruzione di nuovi reattori nucleari. Lo stesso avevano fatto nei mesi scorsi Google, Amazon e altri giganti dell’informatica. Per accelerare i tempi di costruzione puntano su una tecnologia – quelli dei piccoli reattori modulari – che ha il limite di non essere ancora entrata nella produzione generalizzata. Microsoft per superare il collo di bottiglia è arrivata a chiedere la riattivazione dell’unico reattore rimasto integro dopo l’incidente della centrale atomica di Three Mile Island, in Pennsylvania, avvenuto nel 1979.
Né stupisce che l’Europa, con i suoi costi per l’energia più alti rispetto a Stati Uniti e Asia, stia perdendo terreno sul fronte dell’intelligenza artificiale. Il 6 novembre l’agenzia di servizi immobiliari britannica Savills ha pubblicato un rapporto che mostra un calo dell’11% nella potenza dei nuovi data center realizzati dei paesi dell’Unione Europea nel 2025 rispetto all’anno prima. La causa sarebbe proprio la mancanza di forniture adeguate di energia, non certo un rallentamento della domanda.
Il caso dell’Irlanda fa capire bene i problemi che l’informatica ha con l’ambiente. Dall’inizio degli anni Duemila la tigre celtica aveva iniziato a ospitare i centri di calcolo di Amazon, Google, Meta, Microsoft e TikTok. Tasse basse, lingua inglese, temperature rigide (utili a raffreddare i computer) e una buona infrastruttura di cavi sottomarini verso Europa e Gran Bretagna avevano affollamento i dintorni di Dublino di data center. L’Irlanda era arrivata a usare il 21% di tutta la sua produzione energetica per alimentare i computer, superando i consumi delle abitazioni. Le bollette elettriche dei cittadini erano salite, le emissioni, i black out e i malumori della gente anche. Oggi l’Irlanda ha messo al bando la costruzione di nuovi data center attorno alla capitale fino al 2028.