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 2025  novembre 10 Lunedì calendario

Prezzolini, l’impolitico ecologista

Giuseppe Prezzolini è noto per il suo radicale scetticismo. Eppure, sottolinea lo storico Emilio Gentile, «fu sempre alla ricerca di una fede che desse un senso alla sua vita, uno scopo alla sua attività. Visse molte esperienze diverse, ma sempre rappresentative di come la moderna coscienza umana, di fronte al crollo delle credenze tradizionali, senta il bisogno di nuovi punti fermi».
Appunto per questo l’ampia biografia dedicata da Gentile al fondatore della rivista «La Voce», in uscita per Garzanti il 14 novembre, s’intitola L’avventura di un uomo moderno. «Prezzolini – osserva l’autore – non è stato un pensatore originale e creativo, ma la sua parabola individuale riflette il disorientamento collettivo indotto dai cambiamenti inarrestabili provocati dalla modernità. Da giovane cerca una risposta nella sua stessa personalità, immaginando di diventare un Uomo-Dio grazie all’onnipotenza del pensiero; da anziano approda a un nichilismo assoluto, ma senza perdere la speranza che Dio gli si possa rivelare».
Anche il suo rapporto con l’Italia è tormentato.
«È un amore sempre deluso. Prezzolini vive lungamente all’estero – in Francia, negli Stati Uniti, in Svizzera – ma il suo occhio rimane rivolto all’Italia. Vorrebbe fare dei compatrioti un popolo di cittadini moderni, più seri e meno provinciali. È l’ideale che anima la sua impresa culturale più importante, “La Voce”. Per oltre cinque anni la rivista, fondata a Firenze da un Prezzolini ventiseienne nel dicembre 1908, rappresenta un tentativo, a cui partecipano intellettuali, artisti, filosofi del più vario orientamento, di educare la nazione per trasformare l’Italia in una democrazia moderna».
Ma perché «La Voce» è ostile allo statista liberale Giovanni Giolitti, propenso alle aperture democratiche?
«I collaboratori della rivista, compreso Benedetto Croce che poi cambierà idea, vedevano in quel leader pragmatico, empirico, attento al presente più che al futuro, l’espressione dei vizi profondi di un Paese conformista e trasformista, privo di una coscienza civile dal respiro europeo».
Come influisce su Prezzolini l’esperienza della Prima guerra mondiale?
«Segna una svolta esistenziale che modifica anche il suo atteggiamento verso il Paese. Prezzolini esalta l’intervento, parte volontario, paradossalmente pensa che il conflitto possa segnare il superamento dei vecchi nazionalismi. In trincea però si scontra con la realtà di un’Italia arretrata e inadeguata alla sfida della guerra, soprattutto per la scarsa serietà della classe dirigente. Ammira lo spirito di sacrificio degli umili soldati, raccoglie le loro lettere in un’antologia accanto a brani di scrittori. Ma perde la fiducia nella possibilità che la cultura possa migliorare il carattere nazionale scadente degli italiani».
Poi arriva il fascismo, che Prezzolini detesta, ma finisce per accettare. Come mai?
«Era amico di Benito Mussolini, di cui aveva grande stima, fin dal 1909, quando il futuro dittatore era un oscuro agitatore socialista. Più tardi Prezzolini partecipa alla campagna interventista sulle colonne del giornale mussoliniano “Il Popolo d’Italia”. Ma già nel 1919 si accorge che il fondatore del fascismo, da lui idealizzato come un politico di alto senso etico, in effetti è un abile opportunista».
Tuttavia l’ammirazione persiste.
«Prezzolini non riesce a liberarsi dalla convinzione che Mussolini, sul piano politico, sia superiore ai suoi avversari e possa essere utile all’Italia. Distingue tra il Duce, che considera un leader di valore, e il fascismo, che invece disprezza. Quando poi gli squadristi fiorentini progettano di aggredirlo, ha la fortuna di trovare nel 1925 un posto d’impiegato a Parigi presso la Società delle Nazioni».
Quindi nel 1929 va in America e per diversi anni dirige la Casa Italiana della Columbia University, attirandosi l’accusa di complicità con il fascismo.
«Ebbe con il regime i rapporti istituzionali necessari per curare gli scambi culturali tra Italia e Stati Uniti. Ma ospitò alla Columbia anche intellettuali antifascisti. E quando furono introdotte le leggi razziali non esitò a celebrare l’ebreo Lorenzo Da Ponte, librettista di Mozart, che aveva insegnato in quell’università. Nel 1935 accettò la tessera fascista, ma probabilmente fu il prezzo che ritenne di dover pagare avendo chiesto e ottenuto da Mussolini la grazia per l’amico Renzo Rendi, incarcerato per la sua opposizione al regime. Del resto l’Fbi indagò a lungo sulle accuse di fascismo mosse a Prezzolini e non trovò nulla che giustificasse misure coercitive nei suoi riguardi durante la guerra o la revoca della cittadinanza americana che aveva ottenuto nel 1940».
Perché Prezzolini resta distante dall’antifascismo?
«Giunge alla conclusione che l’Italia non ha alcuna speranza di liberarsi dal conformismo autoritario e diventare un Paese moderno. Ciò lo pone in contrasto con amici suoi carissimi come Croce, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, secondo i quali rimuovendo il fascismo si potrà edificare una vera democrazia. Prezzolini non ci crede durante il regime e non ci crederà mai».
D’altronde si asteneva persino dal votare alle elezioni.
«Non riteneva che l’eguaglianza dei cittadini, attraverso il suffragio universale, potesse garantire governi funzionali e devoti all’interesse generale. Prezzolini era convinto che gli esseri umani non fossero in grado di autogovernarsi. D’altronde in molti casi i fatti gli danno ragione, quando vincono le elezioni politici incompetenti o antidemocratici. Invece aveva torto quando accusava d’ingenuo ottimismo i padri fondatori degli Stati Uniti, che in verità erano dei buoni conoscitori di Niccolò Machiavelli, e avevano costruito un sistema rappresentativo solido e duraturo, destinato a fare del loro Paese una potenza imperiale».
In che senso si definiva un conservatore?
«La visione di Prezzolini non aveva nulla a che fare con i partiti italiani che nel tempo si sono dichiarati di destra. Ed era anche contraddittoria. Si considerava un realista, seguace di Machiavelli e cultore della sua concezione cruda della lotta per il potere, ma poi dipingeva i conservatori con tratti impolitici: persone oneste, rispettose delle leggi e del prossimo. Tipi umani che sembrano usciti dalla penna di Edmondo De Amicis. Qui riemerge la sua vocazione pedagogica».
Gli piacciono le figure di elevata moralità?
«Nell’ultima parte della sua vita mostra ammirazione per politici come Giovanni Spadolini e Sandro Pertini, ma più che altro perché ne apprezza il carattere. Vale anche per Amendola e Gobetti: pur distaccandosi dal loro antifascismo, continua a considerarli dei modelli etici e quindi inadatti a un’attività come la politica, nella quale è necessario tacitare la propria coscienza, ad esempio facendo uso della menzogna, per conseguire il potere. Eppure, la più cara fra le sue ultime amicizie fu con il dirigente comunista Giorgio Amendola, primogenito di Giovanni».
Nel libro si parla anche di Prezzolini come anticipatore dell’ecologismo. Che cosa determina tale sensibilità?
«Ha una visione pessimistica che lo porta a ripetere, con Machiavelli, che gli uomini si lamentano del male, ma poi si annoiano del bene. Prezzolini segnala l’irrequietezza della nostra specie e ne denuncia la prepotenza, la spinta a devastare la natura pur di soddisfare la propria avidità di potere e di ricchezza. Già negli anni Sessanta descrive un mondo che scoppia, un genere umano proiettato verso l’autodistruzione».