Corriere della Sera, 10 novembre 2025
Come ripartire sul clima
Forse l’umanità non si sta estinguendo. Vedremo cosa ne pensano le oltre 50 mila persone e i rappresentanti dei governi che da oggi al 21 novembre si riuniscono in Brasile per la Cop30 sui cambiamenti del clima. L’impressione è che, rispetto alle precedenti 29 conferenze, molto stia cambiando nella conversazione sul tema: la previsione che la vita sulla Terra rischi di finire a causa delle emissioni di gas a effetto serra è sempre meno condivisa e le misure prese negli anni scorsi per contenere l’aumento della temperatura del pianeta, costose e dai risultati modesti, trovano sempre più opposizioni.
L’allarmismo che ha caratterizzato a lungo la stagione della lotta al climate change è in esaurimento.
Non che il problema non esista: il pianeta si scalda e ciò ha effetti in molti casi gravi. La novità è che ora la questione viene sempre più spesso relativizzata rispetto ad altre emergenze non solo non meno serie ma anche più facilmente trattabili. Nella discussione, un punto di svolta che sta ribaltando i termini del dibattito è stato fissato da un messaggio stilato da Bill Gates proprio alla vigilia della Cop30 che si tiene a Bélem, sul Rio delle Amazzoni. In passato, Gates è stato uno dei sostenitori più autorevoli della teoria secondo la quale senza interventi massicci «non possiamo mantenere la Terra vivibile» e l’effetto dell’innalzamento della temperatura «con ogni probabilità sarà catastrofico». Era uno dei massimi guru e testimonial della necessità di affrontare il problema con tutti i mezzi. Ora, nel messaggio reso pubblico a fine ottobre, dice che l’innalzamento della temperatura è «un problema serio» ma «non sarà la fine della civiltà». I problemi maggiori, sostiene nella sua revisione il grande filantropo fondatore di Microsoft, «sono la povertà e le malattie, proprio come lo sono sempre stati». Arriva a sostenere, come altri accusati di negazionismo climatico hanno fatto prima di lui, che rispetto al caldo, «il freddo eccessivo è molto più mortale, uccide circa dieci volte di più». Negli ultimi anni, altri sostenitori della catastrofe in arrivo hanno moderato le proprie previsioni più allarmistiche e ora sostengono che «i vostri figli non sono condannati a una vita cupa».
Questo è ciò che sta succedendo nella discussione sul riscaldamento del clima. Alla base ci sono cambiamenti nella società, nell’economia e nella politica. In molti Paesi, soprattutto in Occidente, parti delle opinioni pubbliche accettano poco, in certi casi per nulla, le misure spesso costose di lotta contro le emissioni: dai gilet gialli in Francia alla crescita dell’estrema destra nella molto ambientalista Germania, dal boom di consensi di Farage in Gran Bretagna al movimento Maga che ha portato Trump alla Casa Bianca. Certe misure – elettrificazione del settore auto per i francesi, obbligo delle pompe di calore per i tedeschi, decarbonizzazione estrema per gli inglesi, divieti di trivellazione per gli americani – hanno aumentato parecchio i consensi dei populisti: sono state viste come politiche gradite soprattutto dalle élite e penalizzanti per i più poveri.
In Europa, si sono fatte scelte che oggi anche molti di coloro che le avevano sostenute giudicano sbagliate o troppo anticipate. Il Green Deal, per esempio, ha suscitato reazioni in passato e oggi è in via di non facile revisione da parte della Commissione Ue sulla spinta di più di un governo, proprio a causa dei suoi costi in particolare per le imprese. L’abbandono del nucleare a favore di un piano massiccio per le energie rinnovabili nella Germania di Angela Merkel ha accentuato la dipendenza dell’economia tedesca dal gas di Putin. Le scelte della Ue che hanno stabilito l’obbligo di finire nel 2035 la produzione di motori a combustione interna per passare al tutto elettrico nel settore auto sono oggi criticate, e probabilmente verranno modificate, dopo che l’un tempo glorioso settore auto europeo è entrato in una fase di confusione, a favore dei produttori cinesi. Cina che nella spinta alla decarbonizzazione ha visto un’opportunità industriale e di mercato, più ancora che ambientale visto il suo utilizzo di carbone, e ora domina nella produzione globale di pannelli solari, turbine a vento, batterie.
L’urgenza di contenere l’aumento delle emissioni a effetto serra ha insomma prodotto un caos e politiche dai costi elevati per le imprese e per le fasce meno ricche dei cittadini. Nel frattempo, come ha notato Gates, i Paesi più poveri hanno bisogno di energia, che al momento può essere prodotta solo con combustibili fossili, per uscire dalla povertà e limitare le malattie spesso prodotte proprio dalla penuria di elettricità. La situazione che si è creata sta dunque dando vita a una conversazione diversa rispetto a quella dominante negli ultimi anni. L’opposizione estrema e senza dibattito dell’Amministrazione Trump a ogni passo per affrontare il riscaldamento del pianeta ha dato un’ulteriore spinta al ripensamento di molti altri governi.
Resta il fatto che il cambiamento del clima favorisce fenomeni, dall’innalzamento del livello dei mari a eventi naturali estremi, che mettono a rischio intere comunità, soprattutto le più vulnerabili perché povere. Una parte importante delle decisioni prese in Brasile nei prossimi giorni dovrebbe dunque affrontare come problema numero uno i modi per mitigare questi eventi in molti casi devastanti.