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 2025  novembre 09 Domenica calendario

Ilva, tagli e aiuti statali: la svolta Usa non piace

La nazionalizzazione, invocata da più parti, è una strada che il governo considera bloccata, perché incostituzionale. La vendita ai privati, dopo l’uscita di scena degli azeri di Baku Steel e la riapertura del bando, ha come nuovo acquirente il fondo americano Bedrock che propone però tagli significativi. La confusione regna sovrana sul futuro dell’ex Ilva. Gli impianti sono in condizioni disastrose, la produzione è ai minimi storici e la cassa integrazione, di conseguenza, a livelli mai visti prima. Ma è soprattutto la nebbia fitta che circonda il piano industriale che preoccupa lavoratori e sindacati. La prossima settimana è di quelle da cerchiare in rosso sul calendario. Domani si fermerà per manutenzione l’altoforno 4, l’unico in funzione, martedì ci sarà l’incontro a Palazzo Chigi tra governo e i sindacati, il primo dallo scorso luglio, che arriva dopo una serie di occasioni mancate di dialogo. «La fermata dell’Afo4 era prevedibile visto che è l’unico che funziona ed è proprio questo il punto – spiega Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl –. La situazione degli impianti è critica. L’Afo2 dovrebbe ripartire a gennaio, mentre l’Afo1 è ancora sotto sequestro dopo l’incidente di maggio. È ovvio che siamo in una situazione di disequilibrio che impatta sui costi di gestione e sulla produzione». Lo stop programmato scatterà domani e durerà tra le 50 e le 72 ore dopo una prima giornata di riposo. Il piano industriale che i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia hanno elaborato è appeso ad un filo. Prevede quattro forni elettrici, tre a Taranto e uno a Genova e altri quattro impianti per i pre-ridotti. «Non si può lasciare l’ex Ilva nelle mani di fondi che non hanno una valenza industriale, si tratta di un’operazione di corto respiro e qui invece serve un piano a lungo termine con almeno 9-10 miliardi di investimenti», sottolinea Uliano. Sul fronte occupazionale non va meglio: ad ottobre è stata confermata la cassa integrazione per 4.500 persone (su 10mila dipendenti) senza considerare i 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria che da ormai sette anni vanno avanti con gli ammortizzatori sociali. Dovevano essere ricollocati entro lo scorso settembre. «Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, per la prima volta il ministero del Lavoro ha deciso di dare il via libera alla cassa senza fare una trattativa con il sindacato. Per questo abbiamo scioperato il 16 ottobre e manifestato il 28 dopo l’ennesimo rinvio del tavolo a Palazzo Chigi», sottolinea Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. La cassa integrazione scadrà a febbraio ma il timore è che la situazione in questi mesi peggiori. L’unica soluzione per uscire dall’impasse secondo i sindacati è l’intervento pubblico. «Se l’acciaio è un settore strategico allora è necessario l’intervento dello Stato tramite Cdp e Invitalia che al momento ha il 32%. I bandi “fasulli” reiterano i problemi, è evidente che non c’è interesse da parte di soggetti privati. Se ArcelorMittal che è il principale colosso dell’acciaio non è riuscito a rilanciare l’ex Ilva è improbabile che qualcun altro ci riesca», continua Scarpa. Non sarebbe la prima volta, ci sono i precedenti di Leonardo e Fincantieri, ma anche di Eni ed Enel nel campo dell’energia. L’ipotesi però non è percorribile secondo il governo. «La nostra Carta costituzionale non consente la nazionalizzazione di un impianto siderurgico», ha tagliato corto venerdì il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Martedì sarà lui a fare gli onori di casa a Palazzo Chigi in un incontro che si preannuncia cruciale: verrà illustrato lo stato dei negoziati per la vendita, l’avanzamento del progetto Dri a Taranto e le modalità di approvvigionamento del gas per i forni elettrici.
Il fondo americano Bedrock avrebbe ritoccato la propria offerta per acquisire l’intero gruppo, impegnandosi a mantenere 5mila lavoratori (le prime indiscrezioni parlavano di 3mila) e a condividere con lo Stato i costi dei nuovi forni elettrici. Ma al Mimit il rilancio è stato giudicato ancora insufficiente sia per gli esuberi sia per i limiti imposti dalle norme europee sugli aiuti di Stato. «Abbiamo chiesto anche la presenza della premier Meloni – sottolinea Scarpa –. L’impressione è che non sappiano cosa dirci perché non hanno nulla di concreto in mano. Siamo finiti nelle sabbie mobili. Non vorrei che l’Ilva diventasse un’altra Bagnoli e che ci vogliano 30 anni per avviare le bonifiche». «Camminiamo sull’orlo di un precipizio. Tutti quanti, nessuno escluso». È l’allarme lanciato da Aigi Taranto, associazione datoriale dell’indotto del siderurgico. «Con 12 mila lavoratori, tra diretti e indiretti, e fino a 25 mila con l’indotto e il terziario, il territorio rischia il collasso», avverte, parlando di «decine d’imprese avviate verso l’abbandono» e di «un’economia che langue», e chiedendo di inserire nel Bilancio un fondo di circa 4 miliardi per il risanamento funzionale.