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 2025  novembre 09 Domenica calendario

Sentenze scritte in ritardo, la Cassazione: «Il giudice va sanzionato in base al tempo trascorso»

Il giudice che smaltisce in ritardo gli atti arretrati deve essere “punito” con una sanzione che sia proporzionata al ritardo. A stabilirlo la Corte di Cassazione respingendo il ricorso di una giudice contro la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dello scorso febbraio, con la quale le era stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di due mesi, in quanto ritenuta responsabile di aver «mancato ai doveri di diligenza e laboriosità con reiterati, gravi ed ingiustificati ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni».
I ritardi – più di duemila – contestati al magistrato vanno dal primo aprile 2016 al 31 marzo 2021 e, scrivono i giudici nella sentenza, «sono per numero ed entità di una rilevanza tale da doverne escludere la scarsa rilevanza da un punto di vista oggettivo». La Sezione disciplinare del Csm aveva evidenziato che fossero «significativamente numerosi (pari ad oltre l’80% di tutti i depositi effettuati dalla dottoressa nel quinquennio oggetto di ispezione)» e che avessero «superato ampiamente il triplo del termine previsto dalla legge per il compimento dell’atto e, in molti casi, hanno superato anche la durata annuale». Infatti ci sono state punte massime di ritardi di 671 giorni per le sentenze civili, di 927 giorni per le ordinanze riservate, di 2.555 giorni per le ordinanze di rimessione in istruttoria di procedimenti andati in decisione, di 1.145 giorni per i decreti ingiuntivi, di 484 giorni per le sentenze civili rito lavoro. Un comportamento che ha pregiudicato «gravemente il diritto delle parti ad ottenere la definizione in tempi ragionevoli del processo».
Di fronte a ritardi tanto gravi, sostengono gli Ermellini, d’accordo con la sentenza del Csm, «non rappresentano idonea giustificazione il carico di lavoro, pur ingente, né le carenze di organico dell’ufficio trattandosi di circostanze che non escludono la possibilità del magistrato di meglio auto organizzare il proprio lavoro al fine di evitare ritardi di frequenza e gravità straordinaria, quali quelli registratisi». Si tratta quindi di ritardi talmente significative da poter essere ricondotti soltanto a «una colposa scelta di non adottare delle soluzioni adeguate, sotto il profilo della programmazione anche secondo criteri di priorità, per evitare che una parte dei ritardi divenissero abnormi». Di qui la scelta della sanzione da parte del Csm: due mesi di perdita di anzianità. Una scelta confermata dalla Cassazione che specifica: «Deve essere guidata dal fondamentale criterio della proporzionalità, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare ed espressione della razionalità che fonda il principio di eguaglianza, e, quindi, con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto». «A tal fine – spiegano gli Ermellini – devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l’hanno ispirato», ma anche «la personalità dell’incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e alle ripercussioni del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia del pubblico nell’istituzione».
Rigettando il ricorso della giudice, gli Ermellini chiariscono che ai fini dell’integrazione dell’illecito disciplinare in questione «è necessario che sussistano, congiuntamente, tre distinti e autonomi presupposti: la reiterazione, la gravità e l’ingiustificabilità del ritardo». La reiterazione del ritardo implica che si siano verificati più episodi di ritardo entro un determinato lasso di tempo. Il ritardo è ritenuto grave quando eccede – e questo è uno di quei casi – «il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto». Infine, spiegano i giudici, la durata «ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta dell’incolpato ma, trattandosi di inosservanza protrattasi ulteriormente e per un tempo considerevole rispetto alla soglia di illiceità considerata dal legislatore, è giustificabile solo in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo, sicché quanto più esso è grave tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve essere la relativa giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, comunque, essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare il grave ritardo o almeno ridurne l’abnorme dilatazione».