Il Messaggero, 8 novembre 2025
Il Pacifico a remi in 165 giorni Jess e Miriam fanno la storia
Due ragazze inglesi, Jess Rowe di 28 anni e Miriam Payne di 25, hanno attraversato a remi l’Oceano Pacifico senza fare soste e senza supporto esterno. In mare per 165 giorni e per 6.907 miglia nautiche, vale a dire 12.792 chilometri. Erano partite dallo Yacht Club Peruano di Callao, in Perù, il 5 maggio e sono arrivate allo Yacht Club di Cairns, in Australia, il 19 ottobre. Le foto che le ritraggono mentre scendono dalla barca mostrano due donne felici: è stata una grande avventura, quasi tutto quello che poteva andare male è andato male, hanno visto onde alte nove metri, hanno incontrato balene e ammirato lo spettacolo notturno della Via Lattea illuminata, con le stelle cadenti una dopo l’altra e il mare fosforescente. Non sembravano neppure stanche: nelle ultime ore, proprio all’arrivo, un vento di 20 nodi e una corrente malefica le aveva spinte lontano dal canale che avrebbero dovuto imboccare per raggiungere il molo di Cairns. L’arrivo era previsto alle 14.30, poi rinviato alle 16, poi alla sera. E loro là fuori a remare e a pensare che sarebbero finite sugli scogli o sulla barriera, e avrebbero dovuto nuotare fino a riva. Più di cinque mesi in mare per finire mestamente in quel modo, a bagno e con la barca affondata. Si spiegano anche così i grandi sorrisi dopo avercela fatta, il senso di sollievo e di orgoglio che si percepisce negli sguardi.
L’IDEA
Jess e Miriam si erano incontrate tre anni fa nell’isola spagnola di La Gomera, alle Canarie, davanti al Marocco. È da lì che parte chi vuole attraversare l’Atlantico a remi. Al bar Blue Marlin si fanno conoscenze, ci si fanno gli auguri per la navigazione, si beve qualcosa, ci si dà appuntamento al Sheer Rocks di Antigua. Miriam partiva da sola (e avrebbe stabilito il record della traversata in 59 giorni, 16 ore e 36 minuti); Jess con altre tre donne. Guardandosi al Blue Marlin, avevano però capito che nei loro occhi brillava la stessa scintilla: il Pacifico, l’oceano più vasto della Terra, il Big Blue sul quale una barca a remi è molto più piccola di un puntino fatto con la matita sulla carta. Ne comprarono una usata per 60 mila sterline (68 mila euro) e cominciarono a risparmiare altri soldi per tutto quello che serviva. Cibo, innanzi tutto: 400 chili di scatolette liofilizzate e più confortevoli barrette energetiche al cioccolato. Avevano calcolato che avrebbero dovuto assumere 5.000 calorie al giorno, la dose dei grandi nuotatori, dei ciclisti, dei lottatori. Le 5.000 calorie quotidiane non sono però mai state raggiunte. Arrivavano appena a 3.500 e si consolavano con tagliatelle condite con verdure che coltivavano a bordo.
Erano partite in aprile, ma la prima cosa che poteva andare male andò male subito. Si ruppe un timone, e quello di riserva aveva un difetto di fabbricazione. Erano a 350 chilometri dalla costa e chiamarono per radio Alec Hughes, un amico che avevano conosciuto in Perù e che era da qualche parte dell’Oceano per una traversata a vela in solitario. Hughes ci mise una settimana ad andarle a prendere e le riportò a rimorchio in Perù. Riparato tutto, le ragazze ripartirono in maggio. All’inizio tutto bene. Di giorno remavano insieme, la notte si davano i turni: due ore ai remi e due di sonno. Percorrevano quasi sempre 50 miglia al giorno, un’ottima media, quando tutto funziona. L’impianto elettrico si guastò invece a metà percorso: niente più luci di posizione, niente radio. Poi si ruppero i filtri della macchina che rendeva potabile l’acqua di mare: rimediarono ingegnosamente utilizzando un paio di mutandine. La mancanza di sonno era il problema più grave. L’altro erano i pasti liofilizzati, pappette prive di gusto e di attrattiva. Per fortuna c’erano le barrette di cioccolato, che finirono però al 140° giorno. L’ultima fu divisa e consumata con cordoglio, come se si trattasse del funerale di un buon amico.
LE PAROLE
«È incredibile come il corpo si adatta – ha detto Payne – Non abbiamo davvero avuto problemi seri in mare, niente di più di quello che ti aspetteresti. Il tuo corpo si adegua alle nuove circostanze: è più una sfida mentale che fisica. Non c’era nessuno a cui chiedere un consiglio perché così poche persone l’avevano fatto. Tutto era così nuovo». Ogni tanto una delle due si immergeva per togliere i cirripedi dallo scafo. A volte c’era qualche squalo che curiosava intorno, ma quello che faceva più impressione era guardare in basso, in quell’immenso abisso profondo cinque chilometri. E adesso? Interviste, fama, sponsor pronti a finanziare un’altra impresa. E lì sul mappamondo ci sono i 2,9 milioni di chilometri quadrati dell’Oceano Indiano, che aspettano solo che due intrepide inglesi ci remino sopra per la prima volta.