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 2025  novembre 09 Domenica calendario

Intervista a Lina Sastri

Lina Sastri è imprevedibile, diretta, priva di filtri borghesi o parentesi mentali. Nuda nello spirito, nell’approccio alla vita (“eh, ’sta cosa l’ho pagata. Da ragazza ero una bestia”). Durante la nostra chiacchierata arriva a bacchettare chi scrive (“qui ha sbagliato una data”); a un certo punto urla contro la gattina (“ha una sola settimana…”); neanche promuove lo spettacolo che fino a questa sera presenta a Napoli (“Che brani canta?”. “Sono 25, ma se non lo ha visto che ne parlo a fare?”). Però sono 100 anni dalla nascita di Nanni Loy, 30 dalla sua scomparsa. E proprio con Loy ha vinto il David grazie al ruolo in Mi manda Picone.
Nanni Loy.
La prima volta ho incrociato Nanni per Café Express (1980); lì avevo un piccolissimo ruolo, interpretavo una suora, e finito con il set correvo a teatro per le prove: una continua rincorsa, una continua fuga e non sono riuscita a conoscerlo.
Set importante, con Nino Manfredi protagonista
Tutto girato in un vagone fermo, in poco spazio, non c’era fascino; il fascino arriva quando il film è finito e si diventa spettatori, non quando si lavora.
Tranchant.
Ho esordito alla regia con La casa di Ninetta (2024) e ho capito che il cinema appartiene più a chi sta dietro la macchina da presa rispetto a chi è di fronte; essere attore di cinema è bello, ma devi avere una grande intesa con il regista e con il direttore della fotografia. Non c’è fascino o magia.
Il set non la intimidiva.
Soprattutto da giovane ero più sfrontata e forte di come sono oggi. Sono sempre stata fragile, ma l’ho nascosta bene, non l’ho resa mestiere come fanno alcune attrici e attori.
Lei, no.
Ho imparato a dominarla e a celarla.
Mentre da giovane.
Ero meno consapevole delle problematiche della vita e le questioni le affrontavo di petto, d’istinto.
Consapevole delle sue qualità.
Mai stata, per questo andavo avanti fisicamente, senza pensare molto.
Esordio al cinema.
Ho lavorato in tre film di Gianfranco Mingozzi, poi piccole cose come la schizofrenica in Ecce Bombo(Nanni Moretti) o la suorina con Nanni; in quel momento la napoletanità non era così presente nella mia vita, a parte le commedie con Eduardo De Filippo come Natale in casa Cupiello.
Milioni di spettatori.
Sono felice di averlo incontrato, sono stata fortunata e oggi, dopo tanti anni, trovo i semi di quello che mi ha lasciato; semi che hanno germogliato e dato un frutto, mentre allora non ambivo neanche a lui.
A cosa ambiva?
Al teatro di strada, di ricerca. Il teatro di lingua. Poi ho incontrato Eduardo e per fortuna mi ha presa. Da lui mi arriva la precisione.
Intransigente.
Molto.
Dura.
No, solo intransigente con gli altri e con me stessa (qui è un po’ adirata).
Torniamo a Nanni Loy.
Dopo Café Express mi prese per Mi manda Picone, quando in realtà non dovevo esserci, non ero così nota; (cambia tono) una volta scelta mi combinarono a femmina e da lì ho iniziato a interpretare personaggi più grandi della mia età. Ancora oggi va così.
Aveva 25 anni.
E nel film ero una donna di 35-40 anni, con una figlia più alta di me; non so e non lo voglio sapere se mi presero per stima o perché la produzione non poteva spendere molto per un’attrice più famosa.
Il suo compenso?
Come quello di una sarta. Non avevo mercato.
Quindi…
Prima di venir scelta incontrai Nanni e mi chiese se sapevo guidare, “certo”. Non era vero, non avevo neanche la patente e ancora oggi non sono in grado.
Soluzione?
Andai subito in una scuola guida, presi la patente, ma senza aver imparato. Alla prima scena in macchina, con Giannini accanto e la troupe sulla torretta, dopo il ciak colpii in pieno la torretta. Si spaventarono moltissimo. Da quel momento girammo il film con una Panda fornita di doppio comando, così non guidavo.

Loy manifestò qualche disappunto?
Uomo di grande sensibilità, di grande esperienza: capì la mia fragilità.
Per fortuna.
Quando lessi il copione restai un po’ così, perché allora ero un’attrice intellettuale da teatro, avevo la puzza sotto il naso e da giovani si è stupidi; insomma, giudicai il copione una “magnanata” (da Anna Magnani, ndr). Poi mi vestirono da donna procace, gonne e camicette strette, mentre di solito indossavo gonne larghe, vestivo contro…
Figlia dei fiori.
Esatto, mi combinarono da donna procace.
Sexy.
Fui subito desiderata e amata dagli italiani. Ma io ero a disagio; (pausa) nel film espressi la mia natura popolare, popolare come me, nata in un vicolo. Da lì è sorta la mia napoletanità, affrontai tutto senza mestiere ma con grande sincerità.
Venne rassicurata?

Di solito non mi truccavo, mentre sul set ero obbligata a subire una trasformazione; quando mi vidi sullo schermo, piansi per tre giorni: “Ma chi è quella?”.

Dolore.
Sul set mi ero lamentata sia con il produttore sia con Nanni. “Come mi truccate!”. “Tranquilla, sarai la nuova Magnani”.
Sempre la Magnani.
Io non mi sentivo adeguata a niente. Loro insistevano: “La Magnani era così, andava in giro con le rughe”.
È storia.
Ma quali rughe, io ero una guagliona.
Soluzione?
Intervenne Giancarlo Giannini: “Hai un truccatore personale?”. “Io? Ma che dici?”. Allora Giancarlo andò dal produttore e da Nanni: “O cambiate il truccatore o me ne vado”. Lui aveva potere, non io.
Alla fine?
Mandarono via il truccatore.
Loy la consigliava sulla recitazione?
(Decisa) No! Solo in una scena ci siamo arenati, quella della cucina, dove io mi aprivo la vestaglia per sedurre Giannini. Si vede il seno. “Scusate, o so’ scema come personaggio, o so’ pazza o è femminiello Picone (il marito nel film, ndr). Questa sta in cucina e se apre ’a vestaglia come se niente fosse?”.
Non fa una piega.
Ci fermammo per ore, fino a quando Nanni decise: “Lina, o se fa ‘sta scena o non andiamo avanti. Basta! Non chieder più perché o per come”.
Dica la verità: non voleva spogliarsi.
Non mi piaceva.
Chi aveva ragione?
Nanni.
Diventò un’icona sexy.
Da lì si fece vivo il cinema italiano, con un problema: ero innamorata di una persona che si oppose a tutto questo e rifiutai tutti i film. Se non ti rispetti, come diceva Eduardo, perdi anche l’amore.
Un amore tossico.
Sicuramente.
Quanto ci ha messo a liberarsi?
Lo lasciai dopo un suo tradimento;
(pausa) rinunciai pure a un film di Lina Wertmüller, e dieci giorni prima delle riprese. Al mio posto presero Angela Molina (Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti).
Passò da inaffidabile.
Il produttore e Lina compresero la situazione e mi perdonarono, però da lì il cinema mi ha chiuso le porte.
Peccato.
Eh, ma chissenefrega, la vita doveva andare in questo modo e non è andata male.
Oggi?
Il cinema non me lo fanno più fare, oramai mi chiedono solo piccoli ruoli da bisnonna…
Eppure ha vinto dei David.
Però non mi sono mai adeguata agli standard del cinema: mai avuto un ufficio stampa, un truccatore, un fotografo, il coach dei vestiti; non sono mai entrata nella tribù dei cineasti e non ho mai frequentato le feste giuste, con gli amici giusti e il parrucco giusto.
È tosta.
Ma quaanno mai! So’ ’na scema.
Integra.
Forse, sì. Perché sono molto ferita.
In questi ultimi anni Napoli ha espresso grandissimi registi.
Neanche loro mi chiamano.
Come mai?
E che ne so? Forse non hanno bisogno di bisnonne; mi sarebbe piaciuto un ruolo come quello della Bruni Tedeschi in Duse; (pausa) poi sono naturale.
Niente chirurgia estetica.
Non è mica un vanto. A volte mi guardo allo specchio e non mi riconosco; (cambia tono) sono nel prossimo film di Pupi Avati.
Ruolo?
La zia di Massimo Ghini, cioè la sorella del padre.
In realtà siete quasi coetanei.
Eh, mi hanno truccata, capelli bianchi; poi sono in una fiction di Simona Izzo e Ricky Tognazzi dove sono cattiva, molto cattiva, mamma ro’ Carmine.
Sempre anziana.
La gente mi incontra e ripete: “Dal vivo sei più bella!”.
È più nelle sue corde Sorrentino o Martone?
Entrambi bravi e diversi. Sorrentino ha paura delle emozioni, si ferma di fronte a loro e non le vuole raccontare. Martone le guarda da fuori.
Quindi?
Martone potrebbe essere più vicino al mio mondo, e mi piacerebbe… Sorrentino mi ha chiamata per È stata la mano di Dio ma ho rifiutato perché era un ruolo nel quale sarei dovuta ingrassare, imbruttirmi, mettere i denti finti, dei nei coi peli, darmi vent’anni di più. E allora gli ho risposto: “Scusa, ma perché vuoi a me, pigliaténn’ n’at’”.
Sorrentino non ama i no.
Lo so, e mi dispiace.
La sincerità ha un prezzo.
La pago ogni momento.
Chissà a 25 anni.
Ero una bestia; in Rete c’è un filmato di me insieme a Benigni e Troisi: con Benigni sono così spudorata da risultare offensiva.
Benigni se la sarà presa.
Credo di sì.
Avete recitato insieme.
In To Rome with Love di Woody Allen, non un bel film. Ma come si fa a dire di no a lui?
E comunque.
È stata una bella esperienza.

È femminista?
No, la donna è diversa dall’uomo. E non si deve cercare una parità.
Al ristorante chi paga?
Il maschio! Ma ultimamente pare difficile.

Questo suo carattere da chi arriva, da mamma o da papà?
Entrambi. Di mamma purtroppo non ho ereditato la voce, meravigliosa, e la sua leggerezza.
Ha mai dato uno schiaffo?
Nella vita no, sul set sì: a Ranieri in Passione di Turturro.
Povero Ranieri.
Dovevamo girare una scena importante sulle note di Malafemmina e Turturro mi dice: “Fai quello che ti pare”. La scena ero io che entravo in camera nostra e lo trovavo a letto con una ragazza. D’istinto gli ho mollato uno schiaffo, Massimo non lo sapeva. Poi allo stop mi sono girata e ho visto Turturro con le mani sul volto.
Lei chi è?
Non lo so.
Prima si è più volte definita.
(Silenzio) Sono una donna che vuleva fa’ a mamma, vuleva avere una famiglia. Se tutto questo fosse successo non avrei fatto l’attrice.
Mamma e moglie a tempo pieno.
Sì, certo.
È una grande attrice.
Chi lo sa se lo sono.