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 2025  novembre 08 Sabato calendario

Il club dei triliardari

Nel suo discorso di commiato dallo Studio Ovale, Joe Biden denunciò: «In America sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza». Pochi giorni dopo, il 20 gennaio, il neopresidente Donald Trump giurava attorniato non solo da familiari e leader politici, ma pure dal gotha dell’imprenditoria hi-tech della Silicon Valley. A Capitol Hill, Trump disse: «Un establishment radicale e corrotto ha sottratto potere e ricchezza ai cittadini» e si impegnò a ripristinare il sogno americano.
Dieci mesi dopo il sogno è concreto per una ristretta parte di americani stando ai dati. La legge nota come Big Beautiful Bill taglia imposte alle corporation e, in proporzione, più ai miliardari che alla classe media. Un report di Oxfam, presentato lunedì e la cui prefazione è firmata dalla senatrice Elizabeth Warren, democratica nota per le crociate anti-Wall Street, dice che la legge di Trump «favorisce uno dei più grandi trasferimenti di ricchezza verso l’alto in decenni». Un dato su tutti: nell’ultimo anno la famiglia “più povera” di quell’1% dei super ricchi ha accumulato una ricchezza 987 volte superiore a quella della famiglia più ricca della fascia più povera. I dieci miliardari più ricchi d’America hanno aumentato il loro portafoglio di 698 miliardi di dollari.
Wall Street vola e stacca cedole milionarie. E da qualche ora si celebra il superamento di un’altra frontiera: quella dell’uomo da un trilione di dollari, alias Elon Musk che con la super paga garantitagli da Tesla, ha spostato l’asticella della ricchezza laddove nemmeno il pensiero più fornito di fervida immaginazione può arrivare.
In America ci sono 3.028 miliardari, le classifiche di Forbes e del Bloomberg Index installano ai primi dieci posti 9 cittadini americani e un francese (Bernard Arnault, Lvmh). Tutti con patrimoni personali oltre i 150 miliardi di dollari. Una volta – e non decenni fa, questione di qualche anno addietro – c’era il club dei miliardari (da 100 miliardi). Ora l’asticella per il club esclusivo è stata portata 200 miliardi. Ne fanno parte sei: Elon Musk, Larry Ellison, Jeff Bezos, Larry Page, Mark Zuckerberg, Sergey Brin. Biografie diverse ma tanti tratti in comune: il primo quello di appartenere – chi da prima, come Ellison, patron di Oracle dal 1977, chi dopo, Elon Musk l’ultimo a entrare nell’elenco ma più rapido a scalarlo – alla leadership tecnologica. L’Intelligenza Artificiale fra investimenti, sviluppo, ritorni in borsa ha trascinato la crescita dell’economia Usa e il valore delle società di questi uomini, da Alphabet a Meta. Il Fondo Monetario Internazionale ha acceso la luce rossa su questa crescita repentina del mondo dell’AI paventando scenari da dot.com, ovvero entusiasmo, bolla e infine fallimenti. Il fatto è che i soldi in questo comparto – fra costruzione di data center, infrastrutture, ricerca e sviluppo di software – non sono mai abbastanza. Sembra quasi si autogenerino a vedere i maxi-investimenti e le partnership che stringono fra loro le società di questi signori. Ellison per fare un esempio è stato persino al 2022 nel Board di Tesla. Lo stesso Ellison in gennaio ha costruito una partnership con OpenAi (Sam Altman) e Softbank siglata in pompa magna nello Studio Ovale con la benedizione di Trump. L’episodio evidenzia un altro tratto comune del club dei super ricchi: tutti – chi più chi meno – hanno un legame con Donald Trump. Benché la sua famiglia abbia beneficiato negli ultimi mesi di una crescita del patrimonio degli investimenti pari a 3,05 miliardi, Donald è ben lontano dalla ricchezza di Elon e persino da quella di Bill Gates, ormai fuori dai magnifici dieci. (C’è però Steve Ballmer, suo compagno di classe ad Harvard, dipendente numero 30 di Microsoft e proprietario della franchigia Nba dei Los Angeles Clippers).
Il presidente Donald Trump è il pivot attorno a cui tutti questi leader – più o meno visibilmente – si muovono. Le note della Casa Bianca di tanto in tanto riferiscono di incontri del presidente con Mark Zuckerberg o con Jensen Huang, patron e cofondatore di Nvidia nel 1993, prima compagnia a superare il valore di 5 trilioni di dollari a Wall Street e il cui valore è cresciuto in un anno del 51%. Oracle invece del 54%. Huang è l’uomo dei “chip” ad alta tecnologia fondamentali per il mercato dell’AI, li vende – non quelli di ultima generazione – in Cina e non vorrebbe troppe restrizioni. Trump ne ha messa qualcuna, tolta un’altra. All’Inauguration Day c’era anche lui. E c’era Sundar Pichai, ceo di Alphabet, casa madre di Google, fra tutte le compagnie della Silicon Valley quella storicamente con un occhio ben piantato su cause e temi liberal. Pichai non rientra fra i 10 super ricchi, ma Google è doppiamente rappresentata dai suoi fondatori, Sergey Brin (215 miliardi) e Larry Page (232 miliardi).
In settembre Google ha vinto la sua partita con la Giustizia Usa: non ha dovuto vendere il browser Chrome, come sembrava, per evitare posizioni monopoliste. Alle cene alla Casa Bianca – ora all’interno, ma sino a qualche settimana fa nel nuovo “pavimentato” (fu) Giardino delle Rose – il mondo dei super ricchi è costantemente presente. Per piacere, per interesse o per dovere non si sa. Visto che sino a qualche anno fa, tutti e sei i signori del club da 200 miliardi erano donatori e simpatizzanti democratici. —