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 2025  novembre 08 Sabato calendario

Clima, sinistra divisa. Lula: “Greggio necessario” ma Sánchez lo boccia

Nei padiglioni della Cop30 ancora in costruzione e ghiacciati dall’aria condizionata ci sono due elefanti nella stanza: Donald Trump e i combustibili fossili. Se il primo è diventato il nemico comune, il negazionista contro cui unirsi per evitare il “collasso climatico”, i secondi stanno invece diventando la misura, soprattutto a sinistra, di approcci diversi e divisivi per combattere la crisi del clima.
Lo sappiamo: la scienza ci dice che la principale causa del surriscaldamento globale sono le emissioni di petrolio, gas e carbone, da cui dobbiamo smarcarci. Un conto è però insistere per una transizione energetica impetuosa verso rinnovabili ed energie alternative, l’altro è continuare a giustificare il petrolio come un elemento “ancora necessario”, un sistema che non fa che ritardare il rapido addio alle fonti fossili.
Su questi due mantra i governi di sinistra sembrano spaccarsi. Le parole pronunciate ieri dal presidente Luiz Inácio Lula sono apparse troppo caute sul fossile, tali forse da giustificare tutte le contraddizioni del Brasile. Dopo aver detto che «spendere in armi il doppio di quanto spendiamo per azioni green spiana la strada a un’apocalisse climatica», Lula ha affermato che «non è necessario spegnere macchine e motori da un giorno all’altro». E, pur sostenendo la decarbonizzazione, ha giustificato il petrolio come una opportunità sia per la transizione energetica, sia per profitti che potrebbero essere poi destinati alle rinnovabili. D’altro canto a inizio anno il Brasile è entrato nell’Opec+, il cartello dei produttori di greggio e solo un mese fa ha autorizzato Petrobas a nuove trivellazioni nel Rio delle Amazzoni con forti critiche degli ambientalisti. Questo concetto, del fossile necessario alla transizione, è lo stesso con il quale oltre 5.000 lobbisti negli ultimi quattro anni – dice un rapporto Kbpo – hanno battuto i corridoi delle Cop per influenzare i negoziatori a tenere ancora in vita l’oro nero su cui oggi Donald Trump punta tutto. Ma sempre a sinistra c’è però chi, al contrario, ha una visione radicalmente opposta, la Colombia di Gustavo Petro che è giunto alla Cop30 con un messaggio preciso: «Tempo di porre fine dei combustibili fossili».
Il suo Paese ha detto addio alle concessioni per le trivelle e ha aumentato le imposte sulle imprese di combustibili, intestandosi la guida delle nazioni a trazione anti-oil&gas. Al fianco di Petro il presidente cileno Gabriel Boric che, come il colombiano, ha puntato il dito contro le fonti inquinanti e soprattutto contro le politiche di Trump per riportarle in auge.
Mantenere in vita il fossile sarebbe un pericolo “mortale” anche per il premier spagnolo Pedro Sánchez che, nel ricordare le vittime di Valencia e quelle dovute al crisi climatica e incendi in Spagna, ha fatto riferimento a come per trattare l’emergenza sia necessario ancorarsi «non alle ideologie ma alla scienza», la stessa che chiede appunto di «abbandonare il fossile» e puntare su «transizione verde, come stiamo facendo in Spagna, un motore di crescita e trasformazione». Per riuscirci, dice, va anche tassato chi più inquina, come «i ricchi con i jet privati». Se le forze di sinistra saranno in grado di essere più coese per spingere a un reale cambiamento però lo sapremo solo da lunedì, giorno in cui iniziano i negoziati ufficiali di una Cop30 che, tra logistica e tante assenze, parte già in salita.