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 2025  novembre 09 Domenica calendario

Troppo social, pochi incontri

Sottotraccia, quasi senza far rumore, sta cambiando la trama delle nostre relazioni sociali. Quello che sta avvenendo è un processo di «disaffiliazione» – cioè di perdita del legame con gli altri – che tocca la vita quotidiana delle persone e, insieme, la tenuta della società nel suo insieme.
L’ultima conferma viene dall’Ocse: un intervistato su dieci dichiara di non avere relazioni significative. Una quota che cresce tra gli anziani, ma non diminuisce tra giovani e adulti.
La vita sociale diventa sempre più frenetica e allo stesso tempo più rarefatta. Come atomi accelerati, abbiamo molte più interazioni, ma sempre meno relazioni. Nel mondo dove tutto è funzione, si riducono gli spazi di socialità spontanea.
Non c’e da sorprendersi: a ogni tecnogenesi segue un’antropogenesi. Le piattaforme social hanno reso più facile comunicare, ma anche più raro incontrarsi. Ci si scambia messaggi, si condividono immagini, si commentano post. Ma diventa più rara l’esperienza concreta dell’altro. E se i social hanno fatto esplodere le interazioni facendo venire a galla anche tutto ciò che di brutale alberga nell’animo umano, ora con l’AI entriamo nell’epoca della sostituzione della relazione umana con la relazione uomo-macchina. Come suggerisce il successo tra gli adolescenti di app come Replika: «L’intelligenza artificiale adatta per chiunque desideri un amico virtuale o un fidanzato virtuale senza giudizio, dramma o ansia sociale, con cui poter creare una connessione emotiva, condividere una risata o chattare su qualsiasi argomento, senza limiti di orario».
Nella logica algoritmica del «mi piace», basata sulla gratificazione immediata, la «relazione» cambia natura: non l’incontro con l’altro che provoca, scuote, irrita, ama, ma una forma di consumo a disposizione dell’Io.
Tutto ciò avviene mentre cambiano la demografia e le forme della convivenza.

Aumentano i nuclei composti da una sola persona, soprattutto tra gli anziani, ma anche tra i giovani adulti. Oggi quasi un terzo delle famiglie italiane è formato da un solo individuo. A Milano, come in tutte le grandi città occidentali, siamo oltre il 50 per cento.

La famiglia, che per generazioni è stata la principale rete di protezione e di socialità, è oggi più piccola, fragile e instabile. Mentre i turni di lavoro 24h 7x7 rendono difficile persino incontrarsi con i propri familiari.
Con le relazioni domestiche si indeboliscono anche le reti di prossimità: meno nonni, meno vicini, meno tempo condiviso. La socialità si sposta sul piano digitale, ma cio non è privo di conseguenze.
Un contesto povero di relazioni pesa sulle nuove generazioni. Non è un caso che crescano i disturbi comportamentali, l’ansia, i casi di ritiro sociale. Fenomeni come quello degli hikikomori – giovani che si chiudono in casa e smettono di frequentare la scuola o gli amici (che secondo i dati in Italia sono almeno 70.000) – sono la spia di un disagio più ampio.
L’indebolimento del tessuto relazionale non è solo un problema individuale o psicologico: è un problema sociale e politico. La disaffiliazione non produce solo infelicità privata: produce vulnerabilità collettiva.
Quando si è isolati si rafforza il senso di abbandono che fa crescere il risentimento. E con esso il sospetto, la chiusura, la paura dell’altro. Emozioni su cui attecchiscono le manipolazioni, le semplificazioni, i populismi. Una democrazia senza fiducia è una democrazia fragile.
Da tutto ciò ne deriva dunque un’indicazione importante: nella società che si sta formando è necessario prendersi cura del legame sociale. Non bastano soluzioni individuali o tecnologiche: servono politiche e pratiche che favoriscano la prossimità, l’incontro, la partecipazione. È questa la logica del nuovo welfare che dobbiamo ricostruire.
La scuola, il volontariato, le comunità religiose, lo sport, le associazioni civiche. Ma anche le imprese. E, forse ancora più importante, le forme dell’abitare. Sono questi i luoghi in cui si sta con l’altro e si impara di nuovo a vivere insieme, a condividere il tempo, a costruire fiducia. È necessario reincardinare la relazione nelle nostre forme di vita.
Tutto ciò si può realizzare a partire da una svolta culturale.
Per troppo tempo abbiamo pensato che la libertà consistesse nel bastare a sé stessi. Oggi scopriamo che la vera libertà nasce dal legame: quando si è soli, si è perduti. Essere liberi implica poter contare su qualcuno e sapere che qualcuno può contare su di noi.
La disaffiliazione non è un destino, ma un segnale d’allarme. Ci ricorda che, senza relazioni, una società si disgrega. E che ricostruire la trama invisibile dei legami – familiari, amicali, comunitari – è la condizione per restare umani in un tempo che tende a isolarci.