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 2025  novembre 07 Venerdì calendario

Il paradosso del lavoro giovanile: più offerta, ma mancano abilità

Il paradosso del mismatch, ovvero il disallineamento tra le competenze degli studenti e quelle richieste dal mondo del lavoro, è inscritto nello spazio di pochi numeri: entro il 2080 la popolazione attiva in Italia è destinata a ridursi del 35% (da 6,4 a 5,1 milioni di persone) ma, nel frattempo, quasi un lavoratore under-35 su quattro (il 23%) copre una posizione che non ha niente a che vedere con il proprio titolo di studio. In altre parole, la manodopera giovanile sarà sempre più richiesta dal mondo del lavoro, ma le nuove generazioni continueranno a sviluppare conoscenze e abilità non prioritarie per le aziende. Un altro dato completa il quadro: il 31,4% degli under-30 italiani ancora non raggiunge le competenze tecnologiche di base, fondamentali per la ricerca di un impiego, contro il 24% della media Ue. Peggio di noi, tra i 27 Stati membri, fanno solo Bulgaria e Romania. A dipingere lo scenario è l’indagine “Orientare i talenti. Dati, strumenti, esperienze e prospettive”, realizzata da Fondazione Adapt e presentata ieri a Milano nell’ambito della manifestazione “OrientaTalenti” inaugurata dall’intervento della ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Che ha chiesto agli atenei italiani standard più elevati nella formazione dei neolaureati: «La sfida è far sì che le nuove generazioni siano in grado di pensare e programmare in modo algoritmico, elaborando i risultati dell’intelligenza artificiale senza esserne sovrastati».
Secondo i ricercatori, però, le competenze richieste dalle aziende sono più basse rispetto all’asticella posta da Bernini. Eppure, la maggior parte degli under- 35 italiani non è ugualmente in grado di svilupparle: «I nativi digitali subiscono ogni giorno gli algoritmi dei social network personalizzati appositamente per loro ma, con o senza Ia, spesso non sono capaci di comprendere cosa li circonda – commenta ad Avvenire Matteo Colombo, presidente Adapt e direttore del comitato scientifico di OrientaTalenti –. La loro formazione, specialmente in ambito digitale, dovrebbe essere più pratica e meno teorica». Non serve, secondo i ricercatori, dedicare al digitale una materia scolastica, ma condividere un approccio all’insegnamento che comprenda l’Ia e le tecnologie «già diffuse nella quotidianità di ogni impresa». La priorità è sviluppare competenze che riducano il mismatch: «Il numero di giovani sarà sempre più basso – spiega Colombo –. Perciò, non possiamo permetterci di perdere nessuno di loro nell’ingresso nel mondo del lavoro. Ma, per andare in questa direzione, dobbiamo pensare a una riforma dei nostri sistemi formativi». La ministra Bernini fa eco ai ricercatori: «L’orientamento è uno strumento fondamentale per cambiare passo nell’università – commenta –. È decisivo per il contrasto all’inverno demografico, alla fuga dei talenti e anche al numero troppo basso di laureati rispetto all’Europa». Solo il 31,6% dei giovani tra i 25 e i 34 anni in Italia ha completato il percorso accademico, come evidenzia il rapporto Adapt, contro il 44,1% della media Ue. E, tra quelli che non ottengono la laurea, solo 6 studenti su 10 raggiungono competenze alfabetiche e matematiche adeguate.
Lo sviluppo delle abilità richieste dal mondo del lavoro, perciò, dovrebbe iniziare dai primi anni di scuola: «L’orientamento non riguarda solo le superiori – spiega il presidente Adapt – ma è, secondo le Indicazioni nazionali, un percorso di formazione integrale della persona che comincia alle medie e non finisce prima dell’università». Anche il dialogo con le aziende, di conseguenza, non può cominciare a pochi giorni dall’ultima campanella: «I percorsi di scuola-lavoro fanno la loro parte ma non bastano – commenta il ricercatore –. Alcune aziende propongono laboratori di formazione anche per bambini delle elementari: sono quasi dei musei interattivi senza, naturalmente, scopo di profitto». Alle scuole secondarie, invece, resta il compito di «rivalutare la formazione professionale, ancora limitata dai pregiudizi», sul modello delle Fachhochschule tedesche: «In Germania sono una alternativa alla formazione universitaria tradizionale, mentre in Italia gli istituti professionali sono ancora scuole “di serie B”. La formazione terziaria non accademica, ovvero gli Istituti tecnici superiori (Its), sono una scoperta recente per il nostro Paese». Eppure, gli Its funzionano: secondo l’ultimo monitoraggio Indire del 2025, l’84% degli studenti iscritti a un Istituto tecnico superiore trova un impiego entro il primo anno dal diploma e il 93% lavora in settori coerenti con il percorso formativo. Tradotto: gli Its azzerano quasi completamente il mismatch.
«Spesso, però, gli studenti non li conoscono – conclude Colombo –. Dove si promuove l’offerta di questi istituti, invece, come è successo in Lombardia, cala anche l’abbandono universitario».