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 2025  novembre 07 Venerdì calendario

Trippa alla romana e insalata di nervetti milanese i piatti peggiori d’Italia: la classifica che va contro la tradizione

In Italia la cucina è una questione identitaria. Ogni luogo ha un piatto che racconta la storia di quel posto e di quel popolo, le tradizioni e le abitudini di secoli e secoli. Per questo, quando leggiamo le classifiche straniere un po’ storciamo il naso. Soprattutto se a essere criticate sono due pietanze caratterizzanti del posto in cui sono nate e in cui, ancora, si mangiano in osteria: la trippa alla romana e l’insalata di nervetti milanese.
Nelle classifiche internazionali di cucina, l’Italia vince sempre a mani basse. E infatti lo fa anche nel caso dell’ultimo ranking di TasteAtlas, il sito internet di gastonomia mondiale, il Bel Paese è in testa: la tradizione culinaria nostrana è la più amata al mondo, almeno secondo le recensioni del portale. Napoli, Roma, Bologna e Milano sono le più apprezzate di tutte. Ma c’è qualcosa della cucina tradizionale del capoluogo meneghino che non piace per niente: per gli utenti di TasteAtlas, il piatto peggiore d’Italia è la storica insalata di nervetti, seguito subito dopo dalla trippa alla romana.

Sembra chiaro che a non piacere ai commensali stranieri non è tanto la tradizione locale, apprezzata molto in altre ricette più comuni, quanto le frattaglie animali. L’insalata di nervetti, piatto molto deciso, è composta da tendini bovini bolliti, tagliati, conditi e serviti freddi con cipolla, limone e aceto. La trippa alla romana, invece, è trippa di bovino cotta nel sugo di pomodoro con mentuccia e pecorino romano. Due pietanze della cultura popolare, dal sapore nostalgico e fortemente identitario che va oltre il semplice gusto: per Milano, per Roma, questi due cibi rappresentano la storia e non c’è bisogno che li amino tutto per renderli eterni.
Accanto alle due ricette cardine della cucina milanese e romana, compaiono alcuni piatti dal sapore un po’ agée, che in realtà non si trovano più nei ristoranti nostrani con grande frequenza e che non sono così identitarie come trippa e nervetti. Il terzo piatto meno amato dalle recensioni di TasteAtlas è la pizza mimosa con panna, prosciutto, mozzarella e mais, un grande classico degli anni Novanta. Più avanti si legge anche il risotto alle fragole, sopravvissuto (a pezzi e bocconi) dagli anni Ottanta e ancora consumato in qualche ristorante, magari in veste gourmet. Compare però anche un altro piatto tradizionale toscano, la schiacciata con l’uva fiorentina, dolce che racconta i pomeriggio dopo la vendemmia e che, con il suo sapore forte, ricorda come l’Italia autentica non sia soltanto pizza e pasta al sugo.
La stessa classifica è stata redatta anche per gli altri Paesi del mondo, sembre in base alle recensioni di TasteAtlas. Sono tutti piatti un po’ particolari, ma figli della tradizione. Ci sono il bocadillo de sardinas in Spagna, consumato soprattutto nella zona di Malaga e preparato con sardine in scatola, pomodori e maionese, piatto veloce preparato dai pescatori prima di addentrarsi in mare e i blodpalt finlandesi, gnocchi di farina di segale o orzo impastati con sangue di renna e serviti con pancetta e mirtilli rossi: un piatto che mette a dura prova i deboli di stomaco, ma narra le disponibilità di una zona intera, in una vera cucina a km0.
Se i piatti più identitari sono quelli meno amati, allora sorge un dubbio: quando visitiamo luoghi sconosciuti e lontani dalla nostra cultura, a piacerci è soltanto l’idealizzazione del posto o la sua tradizione autentica? La cucina diventa un brand da vendere o resta una parte imprescindibile della scoperta culturale di un luogo?