il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2025
Giustizia civile, arrivano magistrati a cottimo: 10mila euro ogni 50 sentenze per non fallire l’obiettivo del Pnrr
“Epocale”, “necessaria”, “una svolta storica”, “la madre di tutte le riforme”. Da mesi nel centrodestra si fa a gara a trovare la definizione più roboante per la legge costituzionale che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri. La strategia del governo è chiara: convincere a votare sì al referendum con l’illusione di una giustizia “finalmente più veloce ed efficiente”, per citare le parole del vicepremier Matteo Salvini dopo l’ok definitivo in Parlamento. Eppure la riforma non incide in alcun modo sul funzionamento della macchina giudiziaria, e in ogni caso difficilmente porterà benefici pratici alla maggior parte dei cittadini, che nella loro vita non si imbattono mai in un processo penale (e quindi neanche in un pm, “separato” o meno). Le esigenze degli elettori in materia di giustizia, di solito, sono molto più banali: ottenere un credito, dividere un’eredità, risolvere una causa di divorzio in un tempo ragionevole. Insomma, avere un processo civile che funzioni. E in questo finora il ministero guidato da Carlo Nordio ha fallito clamorosamente, tanto da correre il serio rischio, nei prossimi mesi, di perdere miliardi di finanziamenti dell’Unione europea per aver mancato il più importante obiettivo fissato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sui tempi dei processi.
Il target concordato dal governo Draghi nel 2021, infatti, impone di ridurre del 40% la durata media dei giudizi civili (disposition time) rispetto al dato di partenza del 2019, che era di 2.512 giorni, quasi sette anni. Entro il 30 giugno 2026 – data di scadenza del Pnrr – quel dato monstre va abbattuto a 1.507 giorni, quattro anni circa. Da quando è entrato in carica, però, Nordio non si è mai interessato troppo alla giustizia civile, dedicandosi più che altro a smantellare quella penale, con l’abolizione dell’abuso d’ufficio e altre norme pro-impunità. Così, la scorsa primavera, i numeri aggiornati a fine 2024 hanno avuto l’effetto della proverbiale doccia gelata: ad appena un anno e mezzo dalla scadenza, la riduzione del disposition time era ferma al 20,1%, la metà esatta del necessario. Non solo: nel secondo semestre dell’anno scorso il dato era addirittura tornato a crescere, risalendo da 1.923 a 2.002 giorni. Insomma, per rispettare gli impegni si sarebbe dovuto raddoppiare in 18 mesi il risultato raggiunto nei cinque anni precedenti.
A quel punto al ministero di via Arenula è scattato l’allarme rosso, e per tentare di evitare la figuraccia Nordio è stato costretto a chiedere aiuto alle “odiate” toghe. Dopo un lungo confronto con il Consiglio superiore della magistratura, il 4 agosto il governo ha approvato un decreto legge con una serie di misure emergenziali, tra cui un inedito meccanismo di giustizia “a cottimo”: al Csm è stato ordinato di reclutare fino a 500 giudici volontari, a cui affidare “pacchetti” da cinquanta fascicoli accumulati dai Tribunali più in difficoltà (anche all’altro capo del Paese), da decidere a distanza tenendo le udienze da remoto. Al deposito della cinquantesima sentenza (ma non prima) ai magistrati spetterà un compenso una tantum di circa diecimila euro netti. Nonostante l’incentivo economico, però, la “chiamata alle armi” si è risolta in un flop: i candidati idonei sono stati appena 165, che quindi, nella migliore delle ipotesi, potranno smaltire 8.250 provvedimenti, una goccia nell’oceano. Tra loro c’è Cosimo Ferri, potente ex sottosegretario alla Giustizia uscito indenne dallo scandalo Palamara (rischiava la radiazione dalla magistratura) grazie al Parlamento che ha negato al Csm l’uso delle intercettazioni: parcheggiato al ministero come fuori ruolo in base alla legge sulle porte girevoli, Ferri dovrà decidere cinquanta cause del Tribunale di Napoli, nonostante non scriva una sentenza da oltre dieci anni. Con lui, a smaltire l’arretrato partenopeo contribuiranno (da remoto) altri 21 giudici da tutta Italia: Benevento, La Spezia, Cagliari, Bologna e così via. Ha risposto “presente” alla chiamata pure Catello Maresca, già pm antimafia e candidato sindaco del centrodestra a Napoli, ora giudice d’Appello a Campobasso: riceverà una pila di fascicoli provenienti da Lecce, così come altri nove colleghi.
Ma il “cottimo” non è l’unica strategia con cui il governo sta tentando di recuperare il ritardo. Il decreto di agosto ha allungato il tirocinio dei neo-magistrati per sfruttarli come forza lavoro aggiuntiva nelle Corti d’Appello, dove scriveranno le prime sentenze della loro vita: un paradosso, visto che per giudicare in secondo grado di norma servono almeno otto anni di anzianità professionale. Tra le altre misure, salta all’occhio la precettazione dei magistrati del Massimario, l’ufficio studi della Cassazione, finito nel mirino di Nordio per il suo parere critico sul decreto Sicurezza: cinquanta di loro sono stati temporaneamente trasferiti alle Sezioni civili per dare una mano a smaltire fascicoli. In tempi di carestia, insomma, non c’è polemica politica che tenga.
Nel frattempo il ministero ha elaborato i dati aggiornati al 30 giugno scorso, che hanno riacceso una fiammella di ottimismo: alla metà del 2025 la durata media dei processi era scesa a 1.807 giorni, con una riduzione arrivata al 28%. Ma ormai il 30 giugno 2026 è vicinissimo e guadagnare un altro -12% in pochi mesi appare un’impresa disperata: secondo la proiezione disponibile sul “cruscotto” online del Csm, il dato finale dovrebbe attestarsi a 1.779 giorni, 273 in più del target concordato. Così il viceministro Francesco Paolo Sisto ha già messo le mani avanti: “L’obiettivo è trattare con la Commissione europea e spiegare quello che è stato fatto. Confidiamo che i nostri sforzi possano essere apprezzati e possa essere confermata l’erogazione dei fondi”, ha detto. Da parte della magistratura, però, il timore mai nascosto è che il fallimento dell’obiettivo venga addebitato dal governo proprio a giudici e pm.
Così nei mesi scorsi l’Associazione nazionale magistrati ha richiamato la politica alle sue responsabilità: “Non possiamo che manifestare tutta la nostra preoccupazione per il rischio più che concreto che lo Stato debba rinunciare a una quota rilevante di fondi europei a causa della ‘distrazione’ di un governo troppo concentrato su una riforma costituzionale che mira a ridurre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. E ancora: “Non si può chiedere all’istituzione giudiziaria di supplire a vuoti che sono innanzitutto di responsabilità politica e ministeriale”.