La Stampa, 7 novembre 2025
Carissima New York
Nygerya ha 26 anni e una adorabile bambina di 5 che sta crescendo da sola. Ogni giorno si fa un’ora e dodici minuti di autobus per andare da East New York, dove vive – uno dei quartieri di Brooklyn tra i più poveri della città – a Harlem, dove lavora in una Spa. È lei che mette nella stessa frase due parole che fa impressione sentire insieme: «Ormai anche andare da McDonald’s è un lusso». Eppure è la nuova realtà.
La catena simbolo di cibo a basso costo per molti americani è diventata qualcosa che non si possono più permettere o che si possono permettere sempre con minore frequenza. Lo dicono i dati stessi, che parlano di una presenza nei loro fast food diminuita «quasi a due cifre» proprio nella fascia demografica che ha sempre rappresentato lo zoccolo duro della loro clientela. «C’è una significativa inflazione che i consumatori a basso reddito devono assorbire e penso che ciò stia influenzando le loro prospettive, il loro sentimento e il loro comportamento di spesa», ha affermato lo scorso maggio l’amministratore delegato di McDonald’s Christopher Kempczinski, annunciando come le visite da parte di consumatori a basso e medio reddito fossero crollate di quasi il 10%. «Nel primo trimestre del 2025, McDonald’s ha registrato il peggior calo di fatturato su base annua dal picco della pandemia, con un calo delle vendite del 3,6% nei punti vendita statunitensi aperti da almeno 13 mesi».
Gli esperti del settore la chiamano «biforcazione» ovvero quel fenomeno per cui se gli americani più ricchi alimentano la spesa al consumo, la classe operaia – impantanata dal calo della crescita salariale, dall’inflazione dei generi alimentari e dall’aumento generale del costo della vita – si trova costretta a rinunciare a mangiare fuori e ad acquistare tutto ciò che non è strettamente necessario. «Di solito veniamo al sabato, dopo la lezione di danza di mia figlia», dice ancora Nygerya, sottolineando come sia diventata un’occasione speciale. In questo angolo di Harlem la maggioranza non sono neanche clienti: sono riders che tra una consegna e l’altra usano McDonald’s come luogo per riposarsi, per andare in bagno, per controllare il telefonino. L’altra metà sono studenti, qualche signore anziano, due ragazze con i capelli viola, una babysitter con il passeggino. «Non è più così conveniente», dice un ragazzo con lo zaino in spalla. «Con qualche dollaro in più quasi quasi vado a mangiare meglio in un ristorante vero». Tra il 2019 e il 2024 il prezzo medio di un piatto del menu di McDonald’s è aumentato del 40%, un aumento che, secondo l’azienda, è in linea con l’aumento dei costi.
Il prezzo del panino Big Mac, simbolo dell’azienda, è aumentato del 21% nello stesso periodo, secondo una scheda informativa aziendale, mentre i prezzi di un Egg McMuffin e di un McNuggets Meal da 10 pezzi sono aumentati rispettivamente del 23% e del 28%. Solo di recente, McDonald’s ha deciso di lanciare nuove offerte volte proprio a riconquistare quella parte di clientela più attenta ai prezzi, introducendo nuove proposte da 5 e 8 dollari nel suo menu extra value e riproponendo gli snack wrap a 2,99 dollari. L’amministratore delegato di Chipotle – catena a basso costo simile a McDonald’s ma di cibo messicano – ha dichiarato la scorsa settimana che il divario tra i clienti si è ampliato, con le famiglie con un reddito inferiore a 100.000 dollari – che rappresentano circa il 40% delle vendite totali della catena – che mangiano al fast food meno frequentemente. Anche negozi come Walmart, Dollar General e Dollar Tree – gli ultimi due dove tutto costa un dollaro – hanno notato una diminuzione della clientela economicamente più fragile, mentre hanno visto crescere le quote di mercato tra i consumatori del ceto medio in cerca di sconti. Tutto questo avviene in un contesto in cui tutto sta aumentando, dagli affitti alle utenze, passando per tutto ciò che viene all’estero ed è quindi soggetto alle tariffe. Secondo l’ultimo rapporto sull’indice dei prezzi al consumo, le bollette di gas ed elettricità ad agosto sono aumentate rispettivamente del 13,8 e del 6,2% rispetto all’anno precedente. «Autobus gratis? Qualsiasi cosa ci sollevi dalle spese è ben accetto», dice Wendy che abita a Harlem, in una zona dove, rispetto alle primarie di giugno, Zohran Mamdani ha aumentato il suo vantaggio su Cuomo. Lei lo ha votato, nonostante sia perfettamente consapevole che molte delle promesse forse non si realizzeranno mai. «È comunque importante che un candidato sindaco abbia messo il problema dei prezzi al primo posto. Trump aveva promesso di far scendere i prezzi, ma guardia dove siamo, qui va sempre peggio». Per quasi 3 milioni di newyorkesi questi sono giorni particolarmente duri. A causa della chiusura del governo federale, sono rimasti senza i sussidi del Supplemental Nutrition Assistance Program (Snap). Nonostante l’amministrazione Trump abbia dichiarato che avrebbe distribuito pagamenti parziali, pare che l’attesa per i beneficiari sarà ancora lunga. Un’ordinanza di due giudici federali ha imposto al Dipartimento dell’Agricoltura di utilizzare fondi di emergenza per pagare i sussidi durante la chiusura delle attività governative in corso, ma la risposta di Trump non è stata chiara.
A New York, la pressione è sulla Governatrice Kathy Hochul affinché si faccia carico dell’intero importo dei sussidi di assistenza alimentare – circa 650 milioni di dollari al mese – che sono in sospeso a causa dello shutdown federale. Hochul ha affermato che lo stato non è in grado di coprire tutti i sussidi Snap, ma ha annunciato 106 milioni di dollari di emergenza per finanziare le food bank. I luoghi dove il cibo viene distribuito gratuitamente a chi ne ha bisogno sono il vero termometro della nuova povertà: in passato frequentate quasi esclusivamente da senzatetto, oggi aiutano anche i dipendenti federali rimasti sono stipendio a causa della chiusura del governo federale.