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 2025  novembre 06 Giovedì calendario

Nonni digitali, tra buongiornissimo e fake news: vita smart e nuove fragilità degli over 60

I nativi digitali, la dipendenza da schermo, le insicurezze causate dai social: quando si parla dei problemi legati alla diffusione delle nuove tecnologie si pensa sempre ai giovani. Ma nel frattempo, quasi inosservata, un’altra fetta di popolazione ha sviluppato un rapporto intenso con lo smartphone: quella degli over 60, un po’ Gen X, un po’ boomer. Una generazione che ha visto la televisione entrare nelle case, che ha attraversato l’epoca del fax, che ha conosciuto i modem e ha imparato a digitare www sulla barra di ricerca, e che oggi vive pienamente dentro la tecnologia più smart. Ma non sempre ha i mezzi per comprenderla. Il digitale ha certamente trasformato l’esperienza dell’adolescenza, ma anche la terza età ha ricevuto un bello scossone.

Secondo recenti statistiche, in Gran Bretagna gli over 65 trascorrono più di tre ore al giorno su smartphone, computer o tablet. Non in sostituzione alla televisione, ma in aggiunta.
È la formula del nuovo tempo libero, la nuova socialità: videochiamate ai nipoti, serie in streaming, notizie su Facebook, un feed infinito di immagini, titoli, ‘verità’. E, sempre di più, piccoli rituali domestici digitali: il buongiornissimo nelle chat, i consigli fai-da-te, la ricetta salvata da TikTok per il pranzo della domenica (che metà delle volte si rivela impossibile da realizzare), il tutorial su come piegare le lenzuola con gli angoli, ma anche le meditazioni serali e i video di ginnastica dolce seguiti dal soggiorno. Lo smartphone è la nuova tv del mattino, radio da compagnia, agenda e oracolo domestico tutto in uno. In questo mondo iperconnesso l’età matura trova libertà e soddisfa la propria curiosità, ma scopre anche nuove forme di dipendenza.
Il fenomeno porta alcuni aspetti positivi: una review su PubMed che ha analizzato oltre 400.000 adulti di oltre 50 anni mostra che un uso attivo della tecnologia – scrivere, comunicare, cercare informazioni – è associato a un minor declino cognitivo. Tuttavia lo stesso studio riscontra che l’uso passivo di smartphone e tablet, ovvero quello fatto di scroll infiniti, ha l’effetto opposto. Il digitale può essere palestra mentale se usato in modo consapevole, ma quando l’interazione diventa automatica, la mente si assopisce. È ciò che alcuni neuropsichiatri chiamano ‘demenza digitale’: non una vera patologia, ma una definizione che indica la perdita di capacità di memoria e concentrazione legata alla delega costante ai dispositivi. Non ricordiamo più numeri di telefono e compleanni, non cerchiamo più un nome o un luogo, semplicemente lo chiediamo a Google, all’AI, ‘al cellulare’. Questo vale per le persone di ogni età, naturalmente, ma in una fase della vita in cui l’esercizio mentale può fare la differenza, le conseguenze possono essere particolarmente importanti.
A prescindere dalle implicazioni neurologiche (gli studi sono ancora agli albori, e spesso portano risultati contraddittori) il tema più delicato riguarda la disinformazione. Gli ultrasessantenni sono oggi una delle fasce più esposte alle fake news, soprattutto per quanto riguarda salute, politica e società. Un recente studio condotto dai ricercatori della Princeton University e della New York University ha rilevato che le persone di età superiore ai 65 anni hanno sette volte più probabilità di condividere notizie false rispetto a quelle di età compresa tra 18 e 29 anni, perché non le riconoscono. Lo leggono sui social, lo vedono nei video, e quindi ‘è vero’. E la credibilità è spesso sancita da un contesto affettivo: “Me l’ha mandato mia sorella”, “Lo ha condiviso l’amica del pilates”. Su WhatsApp e Facebook la fiducia passa prima della verifica. Il vecchio passaparola è oggi accelerato, amplificato e automatizzato.
Non è solo un problema di carenza di competenze digitali: alcune ricerche hanno dimostrato che, condizionati da algoritmi che ordinano le notizie in base alle preferenze personalizzate, gli utenti agée dei social media tendono a condividere notizie che riflettono le loro convinzioni già esistenti. Un fenomeno noto come ‘bias di conferma’, secondo il quale i post e i video che affermano la loro identità (specialmente quella politica) vengono riconosciuti come ‘sicuramente veri’. Secondo i ricercatori dell’Università dell’Indiana “Nessun’altra caratteristica demografica sembra avere un effetto così coerente sulla condivisione di notizie false” come quella anagrafica.
Sul profilo Instagram dell’Economist, che di recente ha pubblicato un lungo articolo in cui si snocciolano dati relativi alla dipendenza da smartphone degli anziani (si registrano i primi casi di gamers e internet addict over 70), molti commenti hanno questo tenore: “Secondo mia madre, se qualcosa sta su TikTok è vera”, oppure “Noi Millennials dobbiamo controllare non solo quanto tempo i nostri figli passano al telefono, ma anche i nostri genitori”. O ancora “Mio padre ci rimane male quando gli dico che un video stupendo che mi ha inviato è stato fatto con l’AI”. L’intelligenza artificiale è in effetti la nuova frontiera della manipolazione social: video, immagini o testi generati da AI sono sempre più realistici e difficili da distinguere dal contenuto autentico. Per molte persone nate prima dell’era digitale, concettualizzare la possibilità che qualcosa appaia reale ma sia in realtà completamente artificiale è estremamente difficile. Questo aumenta la vulnerabilità alla disinformazione, ed è qui che si inseriscono le sedicenti cure naturali, il terrore dei picchi glicemici, i rimedi della nonna in chiave social, il wellness magico che promette giovinezza e serenità, e tutta quella farmacia parallela che vive di video accattivanti e formule iper-facili (“tre ingredienti, effetto immediato”).
Dentro questo scenario, emerge una differenza sottile ma interessante. Alcune ricerche riscontrano che le donne over 60 tendono a usare la tecnologia in modo più relazionale – chat familiari, messaggi, condivisioni – rispetto agli uomini (che mantengono un approccio più strumentale, legato alla navigazione). Questo può significare una maggiore esposizione a link e contenuti condivisi di dubbia origine, ma anche una maggiore possibilità di confronto. Sono loro che archiviano foto, inviano promemoria, inoltrano eventi, organizzano pranzi, ricordano compleanni via chat, tengono in piedi gruppi WhatsApp di famiglia. Sono il centro emotivo ed operativo del sistema-messaggio. Le mamme mature, le nonne, le zie di una certa età sono spesso il cuore della rete familiare e comunitaria: se adeguatamente formate, potrebbero diventare protagoniste della nuova alfabetizzazione digitale. Studi americani mostrano che bastano moduli interattivi di un’ora per aumentare la capacità di distinguere notizie false.
In fondo, il digitale è una forma di potere: chi sa orientarsi ne trae autonomia, chi non lo sa rischia esclusione o manipolazione. I boomers non sono affatto fuori dal mondo tecnologico, al contrario, vi sono immersi dalla testa ai piedi. Ma per restarci in modo sano serve consapevolezza. Una generazione numerosa, politicamente rilevante e tuttora attiva nel voto e nella partecipazione civica è esposta a una quantità crescente di contenuti online, ma sta accedendo a informazioni in un ecosistema digitale che non sempre garantisce qualità, e che può favorire manipolazione e disinformazione. Le conseguenze non sono solo individuali (perdita di tempo, truffe, peggioramento del sonno e maggiore sedentarietà) ma anche collettive: distorsione del dibattito pubblico, diffusione di narrazioni alternative, polarizzazione sociale. Se in più consideriamo che questa generazione ha meno ‘guardrail’ sociali (meno supervisione sui tempi online, totale autonomia – genitori e nonni non possono essere monitorati come si fa con i bambini), il rischio aumenta. L’invecchiamento digitale, come tutte le rivoluzioni culturali, è un fenomeno vivo, complesso, imperfetto. Tuttavia la sfida non è proteggere gli anziani da esso, ma renderli protagonisti consapevoli di questo spazio