repubblica.it, 7 novembre 2025
Radar inefficaci e abbattimenti pericolosi: ecco perché i droni imperversano sui cieli europei
Perché non si riesce a fermare i droni che infestano gli aeroporti europei? Il generale Frédéric Vansina, capo di Stato maggiore della Difesa belga e pilota di caccia, ha sintetizzato la risposta: “Agiscono soprattutto di notte, sono piccoli e sono molto manovrabili”. Proprio questa mattina a Liegi un nuovo avvistamento ha costretto alla sospensione temporanea di tutti i voli.
Il primo problema è avvistarli. I più diffusi sono di due tipi: i quadricotteri e gli aeroplanini. I primi sono minuscoli: sempre meno di un metro, spesso solo cinquanta centimetri. E anche la seconda categoria ha dimensioni di gran lunga inferiori a quelle dei normali velivoli. Lo Shahed iraniano, riprodotto ormai in molte nazioni a partire dalla Russia, è lungo 3,5 metri e largo 2,5. Per avere un termine di paragone, i jet Lockheed Martin F16 sono lunghi 15 metri e hanno un’apertura alare di circa 10 metri.
I radar esistenti per la sorveglianza dei confini o la gestione del traffico aereo sono progettati per scoprire i grandi velivoli, costruiti in metallo. I droni sono invece realizzati in vetroresina, fibre di carbonio o plastica: gli impulsi dei radar gli scivolano addosso, senza individuarli. Anche i radar più sensibili, ad esempio quelli delle batterie contraeree per la protezione ravvicinata, non riescono a distinguere le tracce di quadricotteri e Shahed perché sono identiche a quelle di uccelli come i gabbiani o le cicogne. La velocità degli intrusi è minima: in genere meno di cento chilometri orari e quindi non molto diversa da quella dei volatili.
Inutile pure il ricorso ai sensori all’infrarosso: i quadricotteri hanno propulsori elettrici che generano pochissimo calore; gli Shahed invece sono spinti da motori a pistoni con bassa potenza ed emissioni ridotte. Oggi sono disponibili sistemi di avvistamento progettati per la nuova minaccia, che distinguono anche i quadricotteri più piccoli. L’Omega 360 di Fincantieri non solo li scopre ma è pure capace di riconoscere il modello esatto. Finora però ne sono stati prodotti pochissimi esemplari. Buoni risultati, soprattutto per localizzare gli Shahed, si hanno con i radar volanti come il Gulfstream Caew dell’Aeronautica o il Saab 340 Aew&C: apparati che costano cifre superiori a 350 milioni di euro e sono stati adottati in numeri esigui.
Gli allarmi sugli aeroporti in genere scattano quando i droni decidono di farsi vedere. Accendono una o più luci, rivelando così la loro presenza. Esiste un filmato pubblicato dalle televisioni belghe che riprende “l’oggetto non identificato” sull’aeroporto di Bruxelles lunedì scorso. Ha una luce fissa rossa sulla punta e altre che cambiano colore: sembrano compatibili con un velivolo di forma triangolare – come appunto lo Shahed – e anche le caratteristiche del volo sembrano più simili a quelle di un velivolo che non di un quadricottero.
Sempre dal Belgio – dove negli ultimi giorni l’allerta è scattato su cinque aeroporti militari e civili – viene un altro dato molto interessante. Il ministro della Difesa Theo Francken ha dichiarato alla canale pubblico RTBF che i jammer non hanno avuto effetti sugli intrusi. I jammer sono gli apparati più diffusi per bloccare i droni: alcuni sono simili a fuciloni e ricordano le armi marziane dei vecchi film di fantascienza; altri invece sono antenne più grandi somiglianti ai radar. Emettono ondate impulsi su diverse lunghezze d’onda per disturbare le frequenze con cui si pilotano da distanza i mezzi teleguidati. Spezzano il controllo radio del velivolo, che comincia a volare a casaccio e dopo un poco si schianta sul suolo.
In Belgio si ritiene siano che i jammer stati attivati domenica scorsa durante l’allerta sulla base di Kleine-Brogel, dove c’è uno stormo di F16 e soprattutto c’è un bunker che custodisce le bombe nucleari B61 statunitensi: è la struttura più protetta del Paese. Perché non sono riusciti a bloccare i droni? Il ministro Francken ha detto che “l’azione ricorda un’attività di spionaggio. I jammer non hanno funzionato perché gli intrusi hanno testato le nostre frequenze radio e hanno cambiato frequenza. Un dilettante non sa come farlo”. Secondo Francken c’è stata prima una ricognizione elettronica, compiuta con piccoli quadricotteri, per analizzare su quali lunghezza d’onda operavano i sistemi difensivi. Poi sono entrati in scena droni più grandi guidati usando altre frequenze, che sapevano immuni dai disturbi.
In realtà, gli Shahed-Geran russi utilizzati in Ucraina – ma anche i droni prodotti da Kiev – usano apparati di guida che cambiano in continuazione frequenza, in modo da vanificare i tentativi di disturbo. Molti modelli hanno un sistema autonomo, che non ha bisogno di venire pilotato da un essere umano e quindi non può essere interrotto: il “cervello elettronico” dirige su determinate coordinate gps o sulla posizione individuata “agganciando” i ripetitori della telefonia mobile. Una volta raggiunta la zona indicata, i droni da ricognizione e quelli destinati a far sprecare munizioni alla contraerea – chiamati decoy – compiono virate e altre manovre per un periodo di tempo. Infine rientrano al punto di partenza o puntano su un’altra destinazione. I quadricotteri compiono queste operazioni da una distanza ridotta: dieci-venti chilometri, al massimo quaranta. Gli Shahed-Geran invece hanno un raggio d’azione superiore a duemila chilometri.
Perché non vengono abbattuti? Non è facile. Sono molto manovrabili e sparargli contro è quasi sempre inutile. L’alternativa più efficace ai disturbatori è utilizzare cannoncini con speciali proiettili esplosivi: generano un muro di schegge che distrugge i droni. Il più richiesto è lo Skynex di Rheinmetall, prodotto in Italia per gli ucraini e ordinato da diversi Paesi europei ma non ancora consegnato. Si possono anche usare normali mitragliere a tiro rapido abbinate a centrali per la scoperta di nuova generazione, costruite dalle italiane Leonardo ed Elettronica. Come ha spiegato però il generale Vansina, non si può intercettare gli intrusi fuori dal perimetro delle zone militari: “Abbiamo dato l’ordine di abbatterli, ma possiamo farlo solo se abbiamo la certezza di non provocare danni collaterali”. Immaginate cosa accadrebbe se i rottami e il carburante dei velivoli distrutti piovessero sul terminal di un aeroporto…
La domanda delle domande è chi c’è dietro questi sorvoli. Le intelligence europee, inclusa quella di Bruxelles, chiamano in causa la Russia. “Quello che avviene in Belgio – ha detto il ministro della Difesa Francken – è in linea con le tecniche di guerra ibrida viste in altre nazioni. Non si tratta di qualcuno che per caso manda droni sugli scali internazionali o sui siti militari. Ci sono numerose indicazioni del fatto che sono operazioni organizzate in maniera molto strutturata”.
Gli allarmi registrati sono moltissimi e sono avvenuti anche in Danimarca, Norvegia, Germania, Francia, Polonia, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Gran Bretagna. Ci sono tre categorie di intrusioni. Quelle sopra gli aeroporti civili si ritiene puntino a creare il caos nei cieli, seminando sfiducia verso i servizi pubblici. Poi ci sono quelle sulle installazioni militari e sulle infrastrutture nucleari: i britannici dall’inizio del 2025 ne hanno censite 187. L’unico episodio noto in Italia riguarda proprio il centro di ricerche atomiche di Ispra (Varese) dove nello scorso marzo ci sono stati cinque sorvoli.
Tutte le informazioni tecniche sono tenute riservate. Molte nazioni fino allo scorso settembre hanno evitato di pubblicizzare l’allerta sulle basi delle forze armate o sugli impianti nucleari. In alcuni casi però ci sono state fughe di notizie sulla stampa. Una molto interessante in Germania: una vedetta della polizia avrebbe assistito al decollo di velivoli teleguidati da una petroliera della “flotta ombra” che contrabbanda il greggio russo: la nave prima dei lanci si sarebbe avvicinata alla costa e nei mesi successivi avrebbe compiuto manovre sospette sul litorale di altri Paesi della Nato, come la Spagna. C’è da dire che le perquisizioni avvenute a bordo di altre petroliere della “flotta ombra” nel Baltico non hanno mai trovato apparati per la guida dei droni. Allo stesso tempo, non si può escludere che venissero utilizzati velivoli con navigatori automatici: una volta partiti, si sarebbero diretti da soli sul bersaglio. Le autorità di Mosca hanno negato qualsiasi ruolo nei voli misteriosi: lo ha ribadito anche l’ambasciata russa di Bruxelles dopo gli allarmi in Belgio.
Una cosa è chiara. Tutti i Paesi europei sono in un drammatico ritardo nell’adottare strumenti efficienti per neutralizzare i droni. Il ministro della Difesa belga Francken lo ha sottolineato: “Stiamo inseguendo la minaccia. Avremmo dovuto comprare sistemi di difesa cinque o dieci anni fa”.