la Repubblica, 7 novembre 2025
Sangiorgi: “I Negramaro si fermano, non sappiamo ancora per quanto. Mi hanno proposto di lasciarli mille volte”
“Non ci fermiamo dal 2017, nemmeno il Covid ci ha bloccati. Ma ora è il tempo giusto per uno stop”. Giuliano Sangiorgi, il cantante dei Negramaro, spiega la scelta del gruppo di dare un abbraccio collettivo al pubblico con un tour nell’estate del 2026 prima di una pausa. Il nuovo giro d’Italia si intitola Una storia ancora semplice tour 2026 e porterà i Negramaro in 17 festival in tutta Italia: partenza da Rock in Roma il 20 giugno e gran finale a Milano l’8 settembre. Sarà uno spettacolo di greatest hits, con tutti i successi della band salentina, da Mentre tutto scorre a Estate fino a Free love.
Sangiorgi, come reagirà il vostro pubblico a questa pausa? E quanto durerà?
"Non sappiamo quanto durerà, abbiamo bisogno di un grande respiro. Staremo insieme per parlare, ragionare, ci rendiamo conto che dopo 25 anni sarà un meritato riposo per tornare meglio di prima. Intanto scriveremo, viaggeremo, produrremo. Non abbiamo la fretta di scrivere e pubblicare il giorno dopo, come ormai succede spesso. L’esperienza che vogliamo fare, in fondo, è piccola: stare con gli amici”.
Una decisione che va controcorrente.
"L’iper attualismo sta uccidendo la profondità della musica. I grandi autori hanno reso la canzone pura rispetto a qualsiasi moda. Estate è stata scritta nel 2005 ed è una canzone che passa sempre in radio anche 20 anni dopo. Il produttore Corrado Rustici ci disse ‘puliamo questa canzone dalle mode’, quella frase mi rimase in testa e aveva ragione. Se oggi ancora la cantano è perché siamo sempre stati attenti. Ovvio che siamo attenti alle sonorità, alle contemporaneità, ma alla base c’è quell’idea lì”.
Ha imparato a rallentare il tempo sul palco.
“Mi perdevo, non mi godevo il momento e il tempo volava. Ho rallentato il flusso dei pensieri. Mi gestisco l’emozione, per trattenerla fino al giorno dopo. Prima bruciavo tutto, ero troppo confuso e una volta sceso dal palco finivo per non ricordare niente”.
Guarda ancora la foto di suo padre prima di entrare in scena? C’è qualcosa che vorrebbe dirgli?
"Sì, la guardo sempre, mentre ascolto per tre volte di seguito Dust and water di Antony and the Johnsons. Tutto quello che ho da dirgli glielo dico in quel loop di emozioni, prima di salire sul palco. Resta tra me e lui… e Antony and the Johnsons”.
In genere si dice sempre che il rapporto degli artisti con il pubblico è speciale, unico, ecc. Quando vi esibite si percepisce una sensazione particolare: qualcosa che sembra non legato solo alle canzoni, ma all’immagine di voi che rimandate.
“Penso che questa storia sia semplice nella sua complessità. Viviamo in un modo di marketing, di velocità, i ragazzi arrivano direttamente a Sanremo mentre noi, la prima volta, su quel palco ci siamo esibiti alle 2.45. Siamo partiti dal Salento, dove non c’erano strutture. Non si poteva uscire dallo schema reggae e pizzica, non c’erano i talent. Noi eravamo sei amici: io so di essere un sesto, ognuno di noi sa che conta un sesto. Abbiamo superato insieme momenti terribili, tante band si separano. Io avrei potuto lasciare i Negramaro mille volte, non so nemmeno quante volte me lo hanno proposto, ma noi siamo un simbolo sociale, una famiglia allargata, che è anche un simbolo culturale”.
“Il mare torni a essere quello che è: vita”. Lo dice lei durante lo spettacolo. E poi ricorda i bambini e le donne morti in Palestina.
“Siamo animali politici, quando diciamo non uccidete i bambini facciamo politica. Rappresentiamo un nucleo di persone che ti fa pensare allo stare insieme, con tutto quello che comporta”.
Nei vostri concerti e nei dischi ci sono spesso duetti e ospiti. Con che criterio scegliete le collaborazioni?
“I duetti per noi sono estensioni fisiche e spirituali di quello che siamo, proiezioni ideali della migliore anima che vorremo avere per questa o quell’altra canzone che abbia bisogno di una ‘voce’ in più. Mai marketing, solo verità e connessione, anzi, “congiunzione astrale”… come cantiamo appunto con Niccolò Fabi”.
Tempo fa ha detto “non abbiamo mai pensato: arriveremo agli stadi”. Anche qui andate controcorrente.
“Nei nostri comunicati abbiamo scelto di non scrivere da alcuna parte ‘sold out’. Un’espressione abusata, che offusca anche l’anima artistica dei ragazzi perché li umilia. La menata del sold out è da marketing, bisogna liberarsi da questo incubo. Bisogna scacciare questa maledizione: se un artista è da stadio, lo è anche senza sold out. C’è il diritto all’ambizione dell’artista, ma non si può essere ossessionati da quel risultato. Abbiamo suonato davanti a cinque persone come a 500.000. Il nostro sogno era suonare, non importava dove. L’emozione è stata sempre la stessa”