la Repubblica, 7 novembre 2025
Nel cuore dell’Amazzonia il vertice globale sul clima. "Serve un patto anti Usa"
Per concentrarsi sull’evidenza che la crisi climatica sta sconvolgendo le nostre vite, i leader del mondo hanno deciso di partire da un’assenza: quella di Donald Trump. Nel cuore bollente dell’Amazzonia – a Belem, in Brasile – il vertice dei capi di Stato e di governo che lancia la Cop30 ha intrapreso un cammino che dovrebbe trovare soluzioni per invertire la drammatica rotta del riscaldamento globale: più che un piano d’azione, però, appare un disperato appello all’unione contro il nemico comune: il presidente Usa appunto, che ha definito «truffa» la crisi del clima e puntando sui combustibili fossili ha ritirato gli States dall’Accordo di Parigi. Dieci anni fa quell’intesa fece promettere a 190 Paesi di ridurre le emissioni per stare sotto la famosa soglia di +1,5 gradi rispetto all’era preindustriale: oggi siamo già andati oltre ed è ormai «virtualmente impossibile» riuscire a tornare indietro. «Un fallimento morale, una negligenza mortale» ha detto aprendo i lavori il segretario Onu Antonio Guterres.
Per evitare di arrivare a +2,5 gradi nel 2100 urgono quindi soluzioni: trovare 1,3 trilioni di dollari l’anno per i Paesi meno sviluppati e già colpiti dalla crisi (soldi che finora mancano all’appello), arrivare a 125 miliardi di fondi in 10 anni per salvare l’Amazzonia e altre foreste, dare spazio a soluzioni di mitigazione e adattamento, fermare sussidi e finanziamenti per le fonti fossili e infine ideare strumenti per tassare chi più inquina, come gli aerei privati o le aziende più impattanti. Ma è inevitabile che per ottenere un risultato finale soddisfacente – maggiore riduzione delle emissioni, distacco dal fossile, fondi concreti di aiuto e appoggio alle soluzioni naturali proposte dai popoli indigeni – sia necessario un nuovo accordo globale, una unione contro le «forze estremiste che fabbricano notizie false sul clima per guadagno politico» sostiene il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula. Perché l’atteggiamento di Trump, aggiunge il presidente colombiano Gustavo Petro, è «contro l’umanità: ci sta portando al collasso». Parole che ispireranno gli altri leader a cercare un’intesa comune.
La Cina, arrivata in Brasile per intestarsi la guida della battaglia climatica, fa capire di essere d’accordo e chiede congiunzione per «rimuovere le barriere commerciali e rafforzare la collaborazione internazionale per raggiungere gli obiettivi climatici». Anche la Gran Bretagna applaude e l’Italia, rappresentata da Antonio Tajani (assente la premier Meloni), concorda in maggiori sforzi di riduzione delle emissioni ma a patto che «tengano conto della questione sociale e dei posti di lavoro». Tra conflitti internazionali e criticità come i temuti raid Usa contro il Venezuela – tema che monopolizza le discussioni private dei leader a scapito del clima – è quindi fondamentale ritrovare forza contro la tragedia a cui stiamo andando incontro: «Se ci uniamo, possiamo ancora accelerare ed evitare il punto di non ritorno», è l’appello disperato del principe William in plenaria.
Per i presenti solo con questo patto anti-Trump la Cop30 potrebbe dunque diventare quella «della verità» che auspica lo stesso Lula. Ma c’è un problema: per riuscirci, la Conferenza dovrebbe iniziare a cancellare tutte le sue incongruenze, proprio quelle su cui il tycoon gongola. Ci sta riuscendo? A giudicare dal primo giorno di lavori, no.
La logistica, in Brasile, è spaventosamente indietro: gli operai stanno ancora costruendo i padiglioni a colpi di martello fra stand in cui pochi volontari parlano inglese e panini a prezzi esorbitanti. Gli inquinanti jet privati continuano a sorvolare i cieli e quest’anno, nelle acque dell’Amazzonia, si aggiungono anche le emissioni delle imbarcazioni come quelle delle due navi da crociera italiane giunte fin qui per offrire maggiore ospitalità (ma per ora sono occupate solo per un terzo) o dello yacht che ospita Lula, barca che consuma 150 litri all’ora di gasolio.
Tutto ciò avviene alle porte di una delicata foresta pluviale dove alberi sono stati abbattuti per fare spazio alle strade e nuove trivellazioni, nell’anno in cui il Brasile è entrato nell’Opec+, sono appena state annunciate. Per diventare la Cop del pragmatismo, oltre all’unione, servirà anche un appello alla coerenza.