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 2025  novembre 07 Venerdì calendario

Patto del tesoretto tra i partiti: per le «mance» ci sono 100 milioni

Nel salone Garibaldi del Senato si fanno già i conti. La lunga marcia della manovra è partita con l’inedita nomina, qui, di quattro relatori (uno per partito: FdI, FI, Lega e Noi moderati), ma è tra i busti di Palazzo Madama che spunta l’accordo. L’idea di maggioranza e opposizione è di dividersi in parti uguali il consueto «tesoretto» del fondo parlamentare per gli emendamenti. Quest’anno sarà di 100 milioni di euro. Dimezzato rispetto al 2024, un quarto rispetto al 2023.
Sono le mancette per i collegi di appartenenza degli eletti. D’altronde le vacche che pascolano nella legge di Bilancio sono sempre più smunte, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è pronto a concedere il minimo sindacale e allora i senatori in maniera trasversale si arrangiano come possono. Sono in tutto duecento e potrebbero dividersi 500 mila euro a testa. Totale, appunto: 100 milioni di euro.

Il patto è da rifinire nei dettagli. C’è chi spinge dalla maggioranza per lasciare alle opposizioni il 40% del «tesoretto» e chi invece, salomonico, è per la modalità fifty fifty . È il retrobottega della legge di Bilancio dove le polemiche e gli scambi di accuse tra governo e opposizioni si placano. Anche perché questa è la penultima manovra del governo Meloni, l’ultima che partirà qui dal Senato. La prossima, quella che precederà le elezioni, scatterà dalla Camera. L’accordo piace a tutti in maggioranza, a partire dai quattro relatori nominati ieri. Sono i guardiani della legge più importante dello Stato che si marcheranno l’uno con l’altro. Affinché i loro emendamenti – di norma recepiti dal governo – siano validi servirà la firma di tutti. È la prima volta che accade al Senato.
I «quattro tenori» hanno profili assai diversi. Per Fratelli d’Italia c’è il dirigente medico chirurgo Guido Liris; per la Lega il falco «anti euro» Claudio Borghi; Forza Italia schiera l’esperto di banche e finanza Dario Damiani (gemello diverso di Claudio Lotito: i due sono inseparabili) e, infine, da Cordoba, Argentina, Mario Alejandro Borghese, eletto nella circoscrizione America meridionale: è in quota Noi moderati. I quattro dovranno trovare un accordo su tutto, in virtù del vincolo di maggioranza, sorvegliandosi a vicenda. Per piantare le rispettive bandierine di partito, tenendole al riparo dai veti. Tra Matteo Salvini che chiede interventi su pensioni e pace fiscale e Antonio Tajani che pressa sugli affitti brevi, i dividendi e i crediti fiscali. Lupi invece ha cerchiato tre priorità: affitti a lungo termine tassati al 15%, l’esenzione dell’Isee catastale sugli immobili fino a 200 mila euro e i libri per le superiori detassati al 19 per cento. «Si divideranno le briciole», attacca Antonio Misiani del Pd. Dalla prossima settimana i relatori inizieranno a confrontarsi: il 14 novembre suonerà il gong per depositare gli emendamenti. Poi, a fari spenti, inizierà la trattativa di maggioranza con il ministero dell’Economia che ha già fatto sapere quanto siano stretti i margini di una manovra da 18,7 miliardi. Dopo l’approvazione al Senato, il tutto passerà blindatissimo alla Camera dove, salvo sorprese, si procederà con la fiducia.
L’ideale per la premier Giorgia Meloni sarebbe chiudere la pratica ai primi di dicembre, senza ridursi alla feste di Natale. Magari prima che inizi Atreju, la festa di FdI (dall’8 al 15 dicembre). In questo stretto sentiero perfino il tesoretto da 100 milioni di euro fa comodo a tutti. A destra come a sinistra.