Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  novembre 06 Giovedì calendario

Figli in vetrina sui social dei genitori influencer «Servono regole e tutele»

Se un giorno quei bambini, diventati adulti, ci chiedessero perché abbiamo postato loro foto sui social, saremo pronti a dare una risposta? La domanda l’ha posta Olimpia Peroni, una giovane content creator e l’ha poi richiamata anche l’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali: «Come spiegheremo ai ragazzi tutto questo?» e «Come siamo arrivati a questo?». A precedere queste domande è stata un’articolata conferenza, ospitata all’Università Cattolica di Milano dal titolo “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, aperta dalla Garante per l’infanzia Marina Terragni che ricordato l’importanza del disegno di legge bipartisan che regola l’età di accesso ai social network e «auspicato che possa arrivare presto a compimento».
Quanto spesso i minori sono coinvolti in attività promozionali e questo può esporli a rischi per il loro benessere psicologico o fisico? Per trovare dei dati e delle risposte è stato effettuato un monitoraggio su come le immagini di bambini e adolescenti sui social vengano sfruttate senza il loro consenso, per fini commerciali dai loro stessi genitori. Dopo che sono stati analizzati venti profili di family influencer e 1.334 contenuti social in meno di un mese, è emerso che i minori rappresentano una parte attiva in un terzo dei messaggi pubblicitari dei family influencer, un modello di business basato sulla condivisione massiva e continuativa della vita familiare, che apre enormi problemi etici e legali, con i figli costretti a ripetere scene, imparare copioni e sacrificare il proprio tempo di gioco per compiacere non solo l’algoritmo, ma anche i genitori stessi. I numeri, nello specifico, mostrano che sui social media la metà dei contenuti organici vede coinvolti dei bambini, ma anche in un post sponsorizzato, quindi pubblicitario, su quattro, sempre sulle piattaforme, appaiono i figli e le figlie dei family influencer. «Quando un genitore trasforma il proprio figlio in parte di un’attività commerciale, assume di fatto un doppio ruolo: quello di datore di lavoro e di genitore, con il rischio di compromettere la relazione di fiducia e sicurezza su cui si fonda l’infanzia. Senza contare che la presenza online li espone a potenziali rischi di adescamento e pedopornografia» ha spiegato Federica Giannotta, responsabile Advocacy e programmi Italia di Terre des Hommes, commentando l’indagine svolta dalla onlus con l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (IAP), l’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e la partnership tecnica di Not Just Analytics.
Secondo la ricercatrice dell’Università Cattolica, Elena Locatelli, le metriche di engagement suggeriscono che la presenza di bambini, soprattutto sotto i 5 anni, possa aumentare l’efficacia delle campagne pubblicitarie a pagamento, anche se i contenuti organici senza immagini di minori, a volte, ottengono risultati migliori. Questo paradosso legato ai contenuti con minori dentro gli algoritmi è stato messo il luce anche da Yari Brugnoni, co-founder di Not Just Analytics, «l’esposizione costante dei figli è funzionale a mantenere un posizionamento di family influencer sul mercato», aprendo non pochi interrogativi e preoccupazioni morali sulla genitorialità. Nel 21% dei casi i bambini vengono raffigurati in momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino o il sonno; nel 6% dei contenuti i minori vengono coinvolti in challenge online (sfide, ndr) o trends (temi di tendenza, ndr) e addirittura nell’1% dei casi il minore è colto in un momento critico, di rabbia, tristezza o difficoltà.

Su questo è intervenuta Peroni, raccontando il caso emblematico della famiglia americana di Ruby Frank e del suo canale Youtube 8 Passengers: in 5 anni era diventato la principale fonte di reddito della numerosa famiglia. Ma l’esito è stato nel 2023 tragico con l’arresto della madre, accusata di abusi famigliari verso i due figli più piccoli. A distanza di anni la figlia più grande, Shari Frank, che pure non ha subito gli abusi in senso fisico, ha deciso di portare avanti una campagna contro lo sfruttamento dei minori online, presentandosi pubblicamente come vittima del family vlogging.
Se un passaggio sulla riconoscibilità dei messaggi pubblicitari nel cosiddetto influencer marketing è fondamentale secondo il segretario generale di IAP, Vincenzo Guggino, citando il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che «abbraccia tutte le varie aree comunicazione commerciale, dedicando particolare attenzione alla tutela dei minori e ai diritti della persona», la professoressa Giovanna Mascheroni, esperta di tutela dei minori nel mondo digitale, ha evidenziato dal canto suo la necessità di strumenti legislativi, da unire a campagne di educazione e promozione per creare ambienti digitali sicuri per tutti e non solo per i minori. Il benessere giovanile è peggiorato «un’era archeologica fa, quando i cellulari si sono trasformati in smartphone» secondo la senatrice Simona Malpezzi che ha riconosciuto che la politica è stata troppo lenta nell’agire: «Le leggi e i divieti iniziali possano servire come segnali d’allarme per incentivare la consapevolezza e la formazione delle famiglie e degli insegnanti». Il prossimo 12 febbraio il Movimento italiano genitori (Moige), con un primo gruppo di genitori e insieme allo studio legale Ambrosio & Commodo, avrà la prima udienza al Tribunale di Milano, dopo la presentazione della prima class action inibitoria contro Meta, casamadre di Facebook e Instagram, e TikTok che punta a proteggere bambini e adolescenti da pratiche ritenute dannose e illegali da parte delle piattaforme social.