ilgiornale.it, 6 novembre 2025
Pensioni sempre più lontane ma carriere sempre più brevi
L’talia si prepara ad affrontare un nuovo innalzamento dell’età pensionabile, ma resta tra i Paesi europei dove si lavora per meno anni nel corso della vita. Un contrasto che emerge chiaramente dai dati diffusi da Eurostat e dalla Ragioneria generale dello Stato, e che mette in luce un nodo strutturale del nostro mercato del lavoro.
Dal 2027 l’età per andare in pensione tornerà a salire anche se di un solo mese. Dai 67 anni attuali si passerà a quasi 69 nel 2050, fino a raggiungere i 70 anni nel 2067. Una tendenza che, almeno sulla carta, dovrebbe allungare la vita lavorativa degli italiani. Ma la realtà racconta una storia diversa.
Un’Europa che lavora più a lungo
Negli ultimi dieci anni, la durata media della vita lavorativa nell’Unione Europea è cresciuta da 34,9 a 37,2 anni. Anche l’Italia ha visto un piccolo miglioramento (+2,1 anni), ma resta indietro: la carriera lavorativa media si ferma a 32,8 anni, una delle più brevi del continente, davanti soltanto alla Romania.
Il divario geografico è netto. Nei Paesi del Nord Europa – come Svezia, Danimarca o Paesi Bassi – la vita lavorativa supera facilmente i 40 anni. Nel Sud e nell’Est, invece, le carriere sono più corte e spesso più frammentate.
Il ritardo italiano è ancora più evidente se si guarda alla partecipazione femminile. In molti Paesi baltici le donne lavorano più a lungo degli uomini; in Italia, invece, la distanza resta abissale: nove anni di differenza. Le lavoratrici italiane trascorrono in media solo 28,2 anni nel mercato del lavoro, il dato più basso d’Europa.
Secondo gli esperti, questa apparente contraddizione – età pensionabile alta e carriere brevi – affonda le radici in fattori culturali e strutturali. “Si entra nel mondo del lavoro troppo tardi”, osserva Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt. I percorsi scolastici e universitari più lunghi rispetto alla media europea ritardano l’ingresso nel mercato del lavoro. A questo si aggiungono anni di precarietà, contratti a termine, tirocini e periodi di inattività che non producono contributi.
Il lavoro sommerso, che coinvolge oltre tre milioni di persone e vale circa il 9% del Pil, riduce ulteriormente la durata ufficiale della carriera. E anche i prepensionamenti, ancora diffusi, contribuiscono ad accorciare la vita lavorativa effettiva. L’Inps stima che siano oltre 16 milioni gli italiani che percepiscono una pensione; circa 400 mila di loro la ricevono da più di quarant’anni, spesso dopo periodi contributivi molto brevi.
L’Italia, dunque, si trova stretta tra due estremi: un sistema pensionistico che alza continuamente l’asticella anagrafica e un mercato del lavoro che non riesce a garantire percorsi professionali lunghi e continui. Un equilibrio precario che rischia di pesare non solo sulle nuove generazioni, ma anche sulla sostenibilità futura del sistema previdenziale.