La Stampa, 6 novembre 2025
Montagne senza biglietto e agenzie improvvisate la grande corsa all’Himalaya
Sono terre rare, ma di superficie. Lande, valli e ghiacciai che ti offrono il senso dell’infinito e montagne che arrivano dove il freddo condensa scie di aerei. Le catene più alte del pianeta, Himalaya e Karakorum, che s’incontrano in una piatta alluvionale dove si placa per poco il grande fiume Indo. «In Nepal e in Pakistan c’è ora un mondo in più», dice Agostino Da Polenza, da decine d’anni leader di Everest-K2-Cnr. Lo chiamano anche “il diplomatico degli Ottomila”. In quel “mondo in più” sono accadute sciagure in cui sono morti anche alpinisti italiani. Valli aperte dallo Stato nepalese al turismo d’alta quota, dove non si pagano royalties, la tassa per quei monti. C’è un elenco di 97 vette che possono essere affrontate esentasse. Vengono definite “piccole”, in realtà sono tutte più alte di almeno mille metri rispetto al Monte Bianco. Comprendono anche qualche Settemila, non i giganti di 8.000 metri, che da sacri sono diventati cari, ma di prezzo. D’autunno l’Everest, il re, il più alto della Terra, costa 15 mila dollari a ogni alpinista che vuole affrontarne la salita. Gli altri Ottomila hanno un’imposta che vale la metà. Poi ci sono i Settemila con tariffe a poco meno di 3.000 euro, altri tra i mille e i duemila.
Ma ora c’è “il mondo in più”, vallate remote, con monti dai nomi sconosciuti ai più e dove si fa fatica a trovar traccia in memorie del passato. E lì c’è stata un’esplosione di turisti, trekker e alpinisti. Migliaia di persone che viaggiano al risparmio. Una scoperta. «Ci si sente come pionieri – dice Da Polenza -. Avventure d’altri tempi». Quel mondo di “montagne piccole” è in realtà esagerato. Così come i fenomeni che si scatenano, come la congiunzione di fine ottobre tra coda monsonica (rara), depressioni atmosferiche arabiche e ciclone Montha. Nevicate fitte di giorni, bufere, perfino il fenomeno del Whiteout dove l’ambiente è consegnato a raffiche di vento da cento e più chilometri l’ora e al bianco e dove nulla si distingue. Ha investito sia l’Est sia l’Ovest del Nepal, dal Panbari allo Yalung Ri, dove sono morti anche alpinisti italiani.
Fra questi monti senza tasse, nuove agenzie organizzano viaggi avventura che non sempre sono all’altezza di un’organizzazione efficace e i soccorsi sono complessi. Dice Da Polenza: «Sono aree di formidabile bellezza, ma non ci si rende conto della loro grandezza, con fenomeni meteorologici molto più violenti, da non credere. A me è capitato quando avevo 23 anni. Per la prima volta in spedizione in Nepal con, tra gli altri, Renato Casarotto. Il nostro obiettivo era il Tukche Peak, 6.400 metri, di fronte all’Ottomila Daulaghiri. Stavamo salendo dal villaggio di Marfa a un colle quando abbiamo visto spuntare in cima a un pascolo una mandria di yak come impazzita. Correvano a perdifiato. Arrivati al campo base abbiamo piantato le tende e dopo il crepuscolo è cominciato a nevicare. Abbiamo capito così la fuga degli yak. Neve per tutta la notte, il giorno dopo e ancora la notte. Tende sepolte, schiacciate. Ne siamo usciti tagliandole e scavando nella neve. Per liberare Renato mi sono fatto tenere per le caviglie mentre nuotavo nella neve verso la sua tenda. L’ho tagliata e lui ha potuto uscire».
Il governo nepalese ha promosso valli intorno ai giganti come il Manaslu e il Cho Oyu. «Hanno sostenuto – spiega ancora Da Polenza – che in quelle aree ci sono 102 montagne vergini. Eccolo il mondo nuovo verticale da scoprire e salire. Ma per farlo ci vuole l’autosoccorso. Avere cioè i telefoni con Gps collegati al sistema mondiale di allerta e avere con sé anche piccoli pannelli solari per non restare senza energia. E sapere che se accade qualcosa non c’è il 112 che in 10-12 minuti organizza il volo. Ci vogliono 12 ore. Non è questione soltanto di maltempo ma di burocrazia, richiesta di autorizzazione per il volo a vari ministeri e le compagnie private devono avere garanzia di pagamento». Ci sono 15 società di volo private di stanza nella capitale nepalese, Kathmandu.
L’appello di Da Polenza: «Le assicurazioni del Club alpino italiano sono efficaci, però bisognerebbe che tutte le associazioni alpinistiche e l’Unione internazionale delle guide alpine aiutassero il Nepal per la macchina dei soccorsi. Le guide alpine nepalesi ci sono, ciò che manca è il metodo organizzativo». In Pakistan il boom turistico, al contrario del Nepal, è di cittadini pakistani, pochi gli stranieri. Nella regione del Gilgit-Baltistan, grande quanto un terzo d’Italia, si è passati da 30 mila visitatori a un milione e mezzo. I soccorsi in elicottero sono garantiti dalla società Askari con velivoli militari. Organizzazione garantita, ma prezzi alti. A Shigar, vicino alla città di Skardu, Everest-K2-Cnr con il collegio nazionale delle guide alpine italiane ha formato trenta guide. Sono le prime del paese. E il governo pakistano ha stanziato 3 milioni di dollari per un Centro delle professioni di montagna. Progetto di cinque anni che prevede anche la costruzione di 60 rifugi in altrettante vallate del Gilgit-Baltistan coinvolgendo gli abitanti dei villaggi. Da Polenza: «Ecoturismo con grande attenzione per l’ambiente, dalle foreste all’acqua».