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 2025  novembre 06 Giovedì calendario

Sterminò la famiglia, Riccardo Chiarioni rinuncia all’appello: “Voglio espiare la mia pena”

Al suo avvocato ha detto di non voler fare appello dopo la condanna a vent’anni in primo grado. Perché si sta rendendo conto di quello che ha fatto, vuole espiare la sua pena, seguire un percorso di cure nell’istituto minorile dov’è detenuto e intraprendere gli studi universitari. E, in futuro, iniziare una nuova vita.
Nessun processo di secondo grado dunque per Riccardo Chiarioni, oggi maggiorenne, che a 17 anni, con più di cento coltellate, massacrò la sua famiglia: il fratello Lorenzo, la mamma Daniela, il padre Fabio. Era il primo settembre 2024 e per quella strage è stato condannato a vent’anni lo scorso giugno, il massimo in abbreviato. Era “guidato da un pensiero stravagante” e “bizzarro”, raggiungere “l’immortalità attraverso l’eliminazione della propria famiglia”, scrissero i giudici nelle motivazioni.
Il legale del giovane, Amedeo Rizza, voleva appellare la sentenza: “Il giudice ha riconosciuto che aveva dei disturbi, che però per il tribunale non avrebbero inciso nella causa dell’omicidio”, una delle motivazioni. Ma la difesa, a questo punto, non può far altro che rispettare la volontà di Chiarioni.
Il tribunale dei minorenni, nella sentenza, ha riconosciuto gli elementi per la premeditazione. Così come è stata accertata la minorata difesa, visto che i familiari “sono stati sorpresi nel sonno più profondo” e uccisi. Voleva ammazzarli per attuare il suo progetto di “diventare immortale”, ha sottolineato la giudice Paola Ghezzi. Sulla capacità di intendere e di volere, il collegio ha ricostruito: il ragazzo viveva in una famiglia da tutti definita “normale”, frequentava il liceo, giocava a pallavolo, frequentava amici.
Dal suo cellulare è emerso anche un “interesse per l’ideologia fascista e l’omofobia”, e dai suoi dispositivi erano emerse anche immagini come la foto del Mein Kampf. Sulla scorta di tre diversi elaborati (la consulenza della difesa, dei pm e la perizia disposta dal tribunale), il tribunale ha concluso come Chiarioni “fosse pienamente capace d’intendere e di volere” al momento dei fatti.
È stato definito dai giudici “una persona adusa a mentire, a mentire per manipolare”. Capace d’intendere pur se in presenza di una “fantasia potente”, cioè il progetto di uccidere. Che non aveva le caratteristiche del delirio, dell’ossessione, ma era un pensiero coerente “a cui pensava spesso quale strumento per liberarsi dagli affetti che ostacolavano il suo obiettivo di raggiungere l’immortalità”. Un “manipolatore”, che ha progettato gli omicidi “nei minimi dettagli”, ha manifestato “scaltrezza” nel “tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale”, dopo aver già colpito il fratellino. E che ha agito in modo “sconcertante”, colpendo tutti e tre in “modo cruento”.