Corriere della Sera, 5 novembre 2025
Si apre il caso salute mentale. Piantedosi: serve una terza via
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi evoca una «terza via». Di fronte al trauma collettivo della donna accoltellata in pieno giorno nel cuore della Milano finanziaria, ritorna prepotentemente d’attualità il tema della salute mentale. Emergenza spesso dimenticata, che cova sempre sotto traccia per esplodere all’improvviso, in genere tra le mura domestiche. Per Piantedosi, intervenuto su SkyTg24, il caso di Milano pone il problema della «gestione dei casi psichiatrici e dovremo forse riconsiderare anche una terza via tra il passaggio dalla pratica dei manicomi a quello che è avvenuto dopo». E aggiunge: «Una terza via sul fatto di avere dei trattamenti di queste persone che tengano in maggiore considerazione anche esigenze di contenimento per la sicurezza dei cittadini».
Considerazioni dettate, chiaramente, dall’esigenza di dare una risposta in termini di sicurezza. Anche se c’è chi replica che una «terza via» esiste già. «La terza via sono le Rems che sono piccole e soffrono problemi di finanziamenti e di organici – ribatte Guido Bertolaso, assessore al welfare in regionale lombardia —. Probabilmente Piantedosi ha ragione, bisogna regolamentare meglio quello che si fa nelle Rems, dotandole anche di organici e pagando meglio gli operatori». Più netto il senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto: «Lasciamo stare la Basaglia. Per rassicurare i cittadini il governo faccia funzionare ciò che sulla carta già esiste». E ciò che esiste sono, appunto, le Rems (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza).
Nate nel 2015, dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, in genere ospitano ex detenuti con patologie mentali. Anche se non ci sono celle e guardie dalle Rems non si può uscire. Chi ci lavora rivendica comunque che «non sono luoghi di pena, ma di cura». Il grande problema è che non riescono a soddisfare tutte le richieste di accesso che arrivano dai tribunali. Attualmente in Italia ce ne sono 31 e ospitano 690 persone. Ma altre 700 sono in lista d’attesa. Ci sono tre regioni che non ne hanno neanche una. La Lombardia ha una grande struttura a Castiglione delle Stiviere, che in realtà è una Rems «polimodulare» con 120 persone, quando per le legge non se ne potrebbero ospitare più di 20. In ogni caso non sono in grado di soddisfare tutta la richiesta per ospitare soggetti che ha hanno commesso reati e hanno una diagnosi di infermità o seminfermità mentale che. Questa, comunque, è l’attuale «terza via» italiana.
Ma il caso dell’accoltellatore di Milano racconta una storia ancora diversa. Vincenzo Lanni aveva scontato 7 anni di carcere. Poi sarebbe dovuto andare in una Rems. Ma nel suo caso il giudice dispose tre anni di misura di sicurezza nella comunità 4Exodus di Varese. Probabilmente proprio per carenza di posti in Rems. In ogni caso per tre anni gli è stata imposta una misura restrittiva. Il problema viene dopo. Dal 2024 in poi non era tenuto ad osservare alcuna misura imposta dal giudice. Di fatto era un uomo libero. Ma allora, chi doveva farsi carico di seguirlo per controllare se era ancora pericoloso? «Finito il periodo in Rems questi soggetti debbono essere presi in carico e seguiti dai centri di salute mentale territoriali», spiega lo psichiatra Paolo Rossi, direttore sanitario della Rems di Genova. E anche la comunità 4Exodus conferma di averlo ospitato anche dopo il 2024 «ma nell’ambito di un percorso di reinserimento». In pratica non aveva alcun obbligo di stare in comunità.
Si deve studiare l’idea dei trattamenti di queste persone che tengano in maggiore considera-zione anche esigenze di conteni-mento per la sicurezza dei cittadini
Il caso di Lanni pone poi un ulteriore criticità relativa agli ex detenuti con seminfermità mentale. «Per legge – spiega Rossi – chi si trova in questa condizione può tornare pienamente a una vita normale, senza alcuna restrizione. Anche se hanno patologie serie da monitorare, facendo rete, per garantire un’assistenza costante». Nessuno oggi pensa a una modifica dell’attuale sistema basato sulle Rems. Semmai a un rafforzamento. «La chiusura degli Opg è un fatto di civiltà – afferma Rossi —. Ma non possiamo porci il problema della salute mentale solo quando esplode il caso. A questo settore è destinato meno del 3% della spesa sanitaria. E invece occorrono più risorse per assistere e curare in carcere, nel Rems, nei centri di salute mentale».