repubblica.it, 4 novembre 2025
Stiamo davvero perdendo la memoria a causa dello smartphone?
È notizia di qualche giorno fa che gli italiani sono sempre più smemorati. L’ultima prova arriva da alcuni dati rilasciati dai Vigili del Fuoco secondo cui nel 2024, in media, 450 volte al giorno abbiamo chiuso la porta di casa dimenticando dentro le chiavi dell’abitazione. Il numero più alto degli ultimi 10 anni.
A cosa si deve questo incremento? Allo stress, all’invecchiamento della popolazione, a case abitate sempre più da single (e dunque se si scordano le chiavi non si ha un piano B). Tante le cause ipotizzate. Tra queste anche la tecnologia, con le classiche tesi e frasi (fatte): “Lo smartphone ci sta facendo perdere la memoria”; “Un tempo mi ricordavo tutti i numeri di telefono, ora nessuno”; e così via.
Ma è vero che stiamo perdendo la memoria a causa dei dispositivi tecnologici, primo fra tutti proprio il cellulare, ormai estensione del nostro corpo? Proviamo ad astrarci dalle esperienze personali, e a trovare una risposta nella scienza. Partendo però da due considerazioni. La prima: viviamo in un mondo più ricco di informazioni rispetto a un’epoca predigitale e quindi è più probabile che si abbia la sensazione di non ricordare; rimanendo infatti sull’esempio dei numeri di telefono da tenere a memoria: oggi ognuno di noi ne ha uno associato, prima non era così. Seconda: come dice il filosofo Maurizio Ferraris, il digitale è uno strumento di archiviazione delle informazioni, ma non è il primo della storia; prima usavamo altri supporti come per esempio la carta, quindi ci siamo sempre fatti aiutare a ricordare da sistemi artificiali.
Ma torniamo alla scienza. Negli ultimi anni sono usciti diversi studi che dimostrano come la tecnologia non faccia male al nostro cervello. Anzi. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato pubblicato ad aprile scorso sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Human Behaviour. La ricerca ha riguardato 411.430 adulti, utilizzatori di smartphone da una ventina di anni. Quello che è emerso è un rallentamento del declino cognitivo e le conclusioni dello studio dicono che “l’impiego della tecnologia è associato a una riduzione del 58% del rischio di compromissione cognitiva”. Questo perché, contrariamente a quanto si sente dire spesso, le tecnologie digitali possono incentivare comportamenti virtuosi, utili a preservare le capacità cognitive.
Un altro studio, eseguito da un gruppo di ricercatori della University College London e pubblicato nel 2022 su Journal of Experimental Psychology: General, ha evidenziato come l’uso dello smartphone possa portare a un miglioramento della memoria. La ricerca, condotta su 158 soggetti tra i 18 e i 71 anni, prevedeva che a ognuna delle persone osservate venisse sottoposta una serie di informazioni, alcune che potevano essere “appuntate” su uno smartphone, altre no. Risultato? Le prestazioni della memoria miglioravano, fino a quasi del 30%, anche per le nozioni che non erano state salvate sul telefono. Che aveva quindi agito come una palestra per le nostre capacità mnemoniche.
Dire che lo smartphone peggiori la memoria o “distrugga” la nostra massa grigia (tra parentesi: non sono stati provati al momento neanche nessi di causa-effetto tra l’uso del cellulare e l’insorgenza di tumori al cervello) è dunque un luogo comune. Che, però, come tale ha degli elementi su cui vale la pena riflettere. L’abuso delle tecnologie digitali può infatti avere degli effetti negativi. Come i disturbi dell’attenzione, una scarsa empatia o gli eccessivi livelli di stress causati, per esempio, dalle continue notifiche che molti di noi ricevono costantemente. Ma stiamo appunto parlando di abusi. E non di un utilizzo misurato e consapevole. Su questo andrebbe avviato un ragionamento maturo nell’opinione pubblica. Che non passi né da un’adozione disinformata e troppo disinvolta della tecnologia, né dal suo bando, come per esempio quello scolastico per il cellulare in Italia. Il divieto è infatti il fallimento dell’educazione e di preparazione all’uso del digitale – per i più piccoli ma anche per i più grandi – ce n’è un grande bisogno.