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 2025  novembre 04 Martedì calendario

Aziende Usa, un milione di licenziamenti e assunzioni ai minimi dal 2009: è l’effetto intelligenza artificiale?

«Prima di venire a chiedere nuove assunzioni e risorse, dovrete dimostrare di non poter ottenere lo stesso risultato utilizzando l’intelligenza artificiale»,  recitava una comunicazione interna di Toby Lutke, numero uno della piattaforma e-commerce canadese Shopify. Evidentemente, non era il solo manager a pensarla così. Fra gennaio e settembre 2025 le aziende statunitensi hanno annunciato piani di assunzione di 204 mila persone, il numero più basso dal 2009, e piani di licenziamenti per quasi un milione di dipendenti, il numero più alto dal 2020. «Per trovare tagli così rilevanti bisogna risalire ai periodi di recessione economica oppure, nel caso del 2005 e del 2006, alla prima ondata di automazione che ha cancellato lavori nel settore manifatturiero e tecnologico», ha spiegato Andy Challenger, esperto di lavoro per Challenger, Gray & Christmas, società autrice della ricerca.
I tagli del Doge
A quali delle due cause è ascrivibile il «congelamento delle assunzioni» e l’aumento dei licenziamenti negli Stati Uniti? La guerra commerciale avviata da Donald Trump ha certo generato incertezza, nemica degli investimenti anche sull’aumento della forza-lavoro. Le iniziative del Doge – il dipartimento per l’efficienza governativa in principio affidato alle cure di Elon Musk – hanno poi portato al taglio di quasi 300 mila dipendenti federali. E, tuttavia, l’economia americana è cresciuta del 3,8% nel secondo trimestre e pare quindi ben lontana da una recessione. 
La spinta dei data center al pil
A ben vedere, però, il pil statunitense viaggia in questa fase con un solo motore acceso e rombante: quello dell’intelligenza artificiale. Stando ai calcoli di Jason Furman, economista di Harvard, senza i mega-investimenti su data center, chip e altre infrastrutture tecnologiche la crescita del pil Usa nel primo semestre sarebbe stata dello 0,1%, sostanzialmente nulla. L’aspettativa che l’avvento dell’IA schiuda una nuova rivoluzione industriale sta invece spingendo le big tech a spendere centinaia di miliardi e a indebitarsi per eguali somme (i bond emessi a sostegno di progetti IA hanno toccato i 180 miliardi di dollari, secondo Goldman Sachs).
I tagli nel settore tech
Questa mole di investimenti non si sta però traducendo in un aumento delle assunzioni. Anzi, secondo l’analisi di Challenger, Gray & Christmas, proprio l’impiego nel settore tecnologico è stato il più impattato dai tagli negli Usa: 108 mila licenziamenti da inizio 2025 che si aggiungono agli oltre 130 mila del 2024. Il motivo? Certo, le big tech stanno cercando di riparare agli eccessi pandemici quando i lockdown sembravano dover spostare tutta l’economia nel mondo virtuale. Così non è andata (qualcuno parla ancora di metaverso?) e diverse aziende si sono trovate con personale in esubero. Qualcuno però inizia a sospettare che i maxi-piani di licenziamenti avviati da diverse multinazionali negli ultimi mesi siano le prime scosse di un terremoto tecnologico destinato ad abbattersi sul mondo del lavoro. D’altra parte, gruppi come Amazon (14 mila tagli), Microsoft (15 mila), Ups (48 mila) e Intel (21 mila) si trovano all’avanguardia della tecnologia e sono i primi a misurarne gli effetti, anzitutto al loro interno.
Gli esuberi giustificati dall’AI
Per la prima volta, così, nel 2025 alcune aziende americane hanno ammesso che i piani di licenziamento sono stati motivati dall’adozione dell’intelligenza artificiale: Challenger, Gray & Christmas ne ha contati 17 mila da inizio anno. Non molti se confrontati con il totale. Il dato non include però 20 mila tagli genericamente giustificati con «miglioramenti tecnologici». E c’è da notare che la tendenza sta accelerando: solo a settembre sono stati 7000 mila gli esuberi dovuti all’ingresso dell’AI in azienda, circa un ottavo del totale. 
Le rassicurazioni dei manager
Si dirà: come in ogni rivoluzione industriale alcuni lavori spariscono, ma molti di più se ne creano. Ed è in effetti questo il mantra ripetuto dai demiurghi dell’intelligenza artificiale, secondo cui l’IA non sostituirà l’uomo ma ne potenzierà le capacità. Per di più, l’intelligenza artificiale deve ancora provare il suo potenziale rivoluzionario, se mai riuscirà a sprigionarlo. Una recente ricerca del Mit di Boston, d’altronde, ha concluso che il 95% dei progetti pilota sull’AI generativa sinora adottati dalle aziende non ha fruttato l’accelerazione dei ricavi auspicata sulla carta. Secondo lo studio, però, la ragione del fallimento non sta tuttavia nella debolezza della tecnologia, quanto nella difficoltà di calarla nell’organizzazione quotidiana e nella resistenza dei dipendenti ad adattarsi al cambiamento del lavoro. 
E la realtà delle fintech
Non tutti gli imprenditori tecnologico, tuttavia, aderiscono alla tesi rassicurante. Sebastian Semiatkowski, ceo della fintech svedese Klarna, ha per esempio sottolineato che senza l’IA avrebbe dovuto assumere il doppio delle persone. «Credo che molti miei “tech bro” non siano del tutto onesti su questo argomento», ha aggiunto di recente Semiatkowski. «È vero nasceranno nuovi lavori, ma nel breve termine ciò non aiuta chi, per esempio, fa l’interprete: non si riciclerà dall’oggi al domani come influencer di YouTube».