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 2025  novembre 03 Lunedì calendario

Malati gravissimi, le Regioni si svegliano e chiedono più fondi

i fa presto a dire anziani non autosufficienti. Poi però quando si entra nel merito del problema la confusione regna sovrana. Si può dire tutto e il suo contrario senza che se ne accorga qualcuno tranne gli interessati. È il caso delle cosiddette “rette Alzheimer” delle Rsa, che tiene banco da mesi, seminando caos e luoghi comuni spesso senza fondamento. L’ultima a metterci mano è stata la Conferenza delle Regioni, che ha recentemente messo in cima alla lista delle priorità per la manovra 2026-28 un incremento del Fondo sanitario nazionale, sottolineando la necessità di un “progressivo riconoscimento del livello di sanitarizzazione” di patologie neurodegenerative come per esempio Alzheimer e altre demenze, “fino alla totale presa in carico del Ssn”.
Di cosa si parla esattamente? Di una spinosa questione che riguarda i più gravi di tutti gli over 65 anni malati cronici lungodegenti che sono ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali. Quelli per i quali, indipendentemente dalla patologia, le cure sanitarie sono strettamente connesse a quelle socio-assistenziali, tanto da essere indistinguibili. Parliamo di servizi come la nutrizione del paziente con il sondino, la mobilizzazione di malati neurologicamente compromessi o l’igiene di persone allettate con piaghe.
In questi casi come si fa a capire dove finisce il sanitario e inizia il socio-assistenziale? Non è una domanda filosofica: il costo del ricovero dipende dalla risposta visto che il sanitario è in capo alle Regioni e il sociale alle famiglie e ai Comuni. Così i livelli essenziali di assistenza nella non autosufficienza prevedono delle spartizioni forfettarie dei costi, non una separazione tra socio e sanitario voce per voce. Per esempio per tutti gli anziani lungodegenti non autosufficienti la retta viene divisa a metà tra il Servizio sanitario e il paziente. In alcuni casi specifici, nei quali la gravità è tale che tutte le prestazioni svolte sono nella sostanza sanitarie, la quota a carico del paziente si azzera. Succede però che in molte Regioni non venga rispettata neanche la soglia di compartecipazione al 50% e le famiglie si trovino a pagare più della metà della retta che sarebbe dovuta. Figuriamoci coma funziona nei casi in cui non sarebbe dovuto niente.
È da questa situazione che sono nati diversi contenziosi che si sono spesso risolti a favore dei pazienti, i quali hanno riavuto indietro i soldi indebitamente pagati alle strutture. La cosa ha creato grande allarme tra i gestori lombardi delle Rsa, che operano per conto della Regione con piena delega e faticano a rivalersi sull’ente pubblico. Così in primavera in Senato era partita un’iniziativa per rendere separabili le spese per le prestazioni sanitarie da quelle socio-assistenziali, nonostante – come detto – siano spesso strettamente connesse. A fermarla è stata la commissione Bilancio, ma le imprese del settore non hanno gettato la spugna e fanno pressioni sulle Regioni perché promuovano un’iniziativa legislativa che cambi le cose. Non solo: i portatori di interessi diffondono anche vere e proprie leggende metropolitane come quella per cui i tribunali, senza alcun fondamento normativo, autorizzano indistintamente tutti i malati di Alzheimer a non pagare la retta della Rsa. Non è così: le sentenze non riguardano nello specifico nessuna patologia, ma lo stato di salute e le necessità di cura del singolo paziente.
All’obiezione scattano le paure che il sistema non possa reggere. “È il nuovo terreno di mistificazione in ambito socio-sanitario e della non autosufficienza: il richiamo alla ‘tenuta del sistema’ di fronte a diritti esigibili negati, invoca austerità sulla pelle dei malati”, commenta Andrea Ciattaglia della piemontese Fondazione promozione sociale, secondo il quale i malati che non devono pagare niente sono “al momento un’assoluta minoranza. L’enorme ingiustizia è invece quella delle rette 50% non corrisposte”. E racconta di uno studio della Bocconi per il quale in Piemonte oltre il 60% dei malati ricoverati in Rsa, circa 20mila persone, paga l’intera retta in proprio, per una spesa annua complessiva di più di 350 milioni. “Sui 10 miliardi di budget della sanità pubblica piemontese, oggi il peso delle quote sanitarie Rsa è meno del 3% della spesa”, ricorda aggiungendo che basterebbe uno stanziamento di una settantina di milioni in più per sistemare le cose. Quanto ai più gravi, “se tutte le azioni che vengono compiute per un malato sono strettamente rivolte alla tutela della sua salute, la materia è interamente sanitaria. D’altronde, è un principio che accettiamo senza problemi (per ora) per i ricoveri pubblici ospedalieri”.