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 2025  novembre 03 Lunedì calendario

Siria, raid e vendette sulle minoranze: il nuovo regime è peggio di quello degli Assad

Omar e sua madre, conosciuta con il nome di Oum Omar, sono fuggiti tre mesi fa dal loro villaggio di Al-Dour, vicino a Suwayda, nel sud della Siria, e ora vivono nei locali di uno studio legale abbandonato di Jaramana, alla periferia di Damasco. Era l’alba del 14 luglio: “Abbiamo visto arrivare un centinaio di veicoli con a bordo degli uomini armati di kalashnikov”, racconta la donna. Ha 65 anni ma, per via del volto coperto di rughe, ne dimostra molti di più. Indossa il lungo abito nero tradizionale delle donne druse, con il velo bianco che le copre i capelli. Tutti gli abitanti di Al-Dour appartengono a questa minoranza religiosa, le cui credenze derivano dall’ismailismo, una corrente dell’islam sciita. “Prima sono arrivati gli uomini della sicurezza generale, poi i capi delle tribù beduine, poi di nuovo la sicurezza generale, ma insieme ai combattenti ceceni e afghani. Svuotavano le case e uccidevano chiunque capitasse a tiro”, aggiunge Omar, 28 anni. Sua madre era rimasta chiusa in casa per quattro giorni, terrorizzata. Lui invece si era nascosto nel villaggio, insieme ad altre persone, prima di essere catturato. Il giovane, liberato nell’ambito di uno scambio di prigionieri, ha poi raggiunto Jaramana insieme alla madre. Ad Al-Dour, almeno 45 persone sono state uccise e del villaggio non resta quasi più nulla. Secondo fonti Onu, almeno 33 villaggi sono stati incendiati. Circa 1.990 siriani sono stati uccisi a Suwayda alla fine di luglio, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Tra loro, 765 civili drusi sarebbero stati “giustiziati da membri dei ministeri della Difesa e dell’Interno”. Anche 436 membri delle forze governative sono rimasti uccisi, insieme a 40 combattenti e tre civili beduini. Almeno tre donne druse sono state stuprate e assassinate.
Tutto era iniziato il 13 luglio, con il rapimento di un venditore ambulante druso da parte di un gruppo armato di beduini che invece sono sunniti – come la grande maggioranza della popolazione siriana – e vicini alle nuove autorità di Damasco. Gli scontri sono esplosi a Suwayda dopo il massacro degli alawiti, un’altra minoranza religiosa, a ovest della Siria, del marzo 2025 e sono andati avanti finché Israele non ha bombardato la provincia di Suwayda e quella di Damasco, affermando di intervenire per difendere i drusi. Il governo di Ahmad al-Sharaa (noto anche come Abu Mohammad al-Julani) si è dunque ritirato e, il 21 luglio, è entrato in vigore il cessate il fuoco. Quasi 200.000 persone sono state sfollate. Di queste, poco meno di 5.000 sono approdate a Jaramana. Qui la famiglia di Jamal, 66 anni, vive in una piccola stanza in fondo ad un vicolo di terra battuta. Sua moglie serve il caffè in bicchieri di vetro, scusandosi di non avere tazzine. Anche Jamal è originario di Al-Dour, dove lavorava in un panificio. Dopo essere sopravvissuto ad un attacco di droni, in cui è rimasto leggermente ferito, è stato detenuto per quattro giorni a Dar’a, nella provincia di Suwayda, in “una prigione del regime”. “Ci picchiavano e ci dicevano: siete dei maiali, dei complici di Hijri [un influente capo religioso druso di Suwayda, oppositore del governo di al-Sharaa, ndr], dovete morire”, racconta. Ha saputo che la loro casa, ad Al-Dour, è stata incendiata. Lui e la moglie erano riusciti a costruirla grazie ai soldi ricevuti dopo la morte del loro primo figlio, Khaled, un cecchino dell’esercito di Bashar al-Assad, che era stato ucciso il 16 novembre 2012 a Tadamon, un quartiere di Damasco che nel 2013 è stato teatro di uno dei più grandi massacri della guerra siriana. “Il regime attuale è peggiore di quello di Bashar al-Assad”, osserva. Una parte delle minoranze siriane la pensa così. Durante la guerra, mentre città e quartieri sunniti venivano rasi al suolo, il regime aveva risparmiato le zone abitate da cristiani, alawiti o drusi. Con l’arrivo al potere di al-Sharaa, la situazione si è ribaltata. “Tutte le minoranze hanno paura. E la maggioranza sunnita non percepisce questa minaccia”, spiega Khaled Barakeh, un artista druso, 49 anni, esiliato in Germania durante la guerra e tornato in Siria dopo la caduta del regime di al-Assad, nel dicembre 2024. A Jaramana, sunniti, cristiani, drusi e alawiti convivono.
Ma la calma relativa dei primi tre mesi della transizione si è rivelata ingannevole. Per Barakeh, le stragi contro le minoranze sono una “conseguenza logica” delle devastazioni causate da oltre sessant’anni di dittatura del partito Ba’th, più di cinquant’anni di dominio degli Assad, e quattordici anni di guerra civile – che, del resto, non è mai del tutto finita. Dopo la caduta di Bashar al-Assad, Israele ha ripreso ad espandersi sui territori che già stava erodendo illegalmente. L’esercito israeliano ha installato un posto militare proprio di fronte a casa sua, nel Golan. I drusi di Suwayda, allora, attaccati dal governo siriano, si sono rimessi allo Stato ebraico: “Se Israele non fosse intervenuto, ci sarebbero stati molti più morti – spiega Barakeh -. Israele usa i drusi come un cavallo di Troia, al servizio delle proprie mire espansionistiche”. Poco lontano da Jaramana, a Sayyida Zeinab, nel sud di Damasco, alcune famiglie beduine, sfollate da Suwayda, occupano stanze sovraffollate dell’hotel Etihad. Ael al-Okla, ex operaio in una segheria, ha cercato di andarsene, ma non ha trovato lavoro e non può permettersi di pagare un affitto. Quattro suoi cugini sono stati uccisi negli scontri di luglio. “Tornerò a Suwayda solo a una condizione – dice –: che lo Stato ritiri le armi alle milizie, costituite dai foulouls [così sono noti gli ex sostenitori del regime Assad, ndr] e da comandanti drusi, e che le autorità di Damasco riprendano il controllo del governatorato”. Il risentimento tra beduini e drusi è cresciuto negli anni, alimentato da conflitti per la terra e le risorse idriche. Sotto gli Assad, le élite druse erano relativamente ben integrate nell’apparato statale. I beduini, invece, sono stati spesso emarginati. La rivoluzione del 2011 era cominciata nella provincia vicina di Dar’a. Se i drusi inizialmente erano rimasti neutrali, migliaia di loro decisero di non mandare i propri figli al servizio militare, creando nel frattempo milizie locali. Il potere fece finta di non vedere. Nel 2023, mentre l’economia della Siria collassava, i drusi di Suwayda si unirono alla rivoluzione e le manifestazioni contro il regime continuarono fino alla caduta di Assad.
Dopo gli scontri di luglio, tutte le fazioni druse armate si sono unite in un’unica formazione, l’“Esercito nazionale”. Oggi controllano i dintorni e il centro di Suwayda e la maggior parte dei beduini è stata costretta a fuggire. I drusi, che rappresentano circa il 3 % della popolazione siriana, costituiscono il 90% degli abitanti di questa provincia. Ael al-Okla, come altri sfollati, ritiene che la comunità drusa sia sottomessa all’influente sceicco Hikmat al-Hijri. Nel 2021, il dignitario religioso voltò le spalle ad al-Assad e oggi è un fermo oppositore di al-Sharaa. Al di fuori della comunità drusa, si ricordano di lui soprattutto i ringraziamenti pubblici a Israele. A Jaramana, la casa di Gandhi Atmat, funzionario di 55 anni, era stata a lungo un luogo di incontro per i rivoluzionari di ogni confessione. “Non mi piace come persona, ma al-Hijri è il nostro unico leader religioso. Se non avesse preso posizione, li avrebbero sgozzati tutti”. Secondo lui, il governo è il solo artefice delle violenze confessionali. E Israele non può che rallegrarsene. Gandhi Atmat è contrario alla partizione della Siria, ma la convivenza con i beduini gli appare impossibile: “Hanno sempre vissuto tra noi, ma poi si sono schierati con loro”. Ovvero con i combattenti della sicurezza generale.