La Stampa, 3 novembre 2025
Casa quanto rendi
Mettere a reddito la seconda casa. Un tempo era un’operazione finanziaria scegliere: si sceglieva un contratto 4+4, si optava per la cedolare secca al 21% e l’unico, grande incubo era il rischio di insolvenza. La gestione era minima. Oggi, quel modello è in frantumi per chiunque ponga una nuova condizione: mantenere la disponibilità dell’immobile. Questa singola esigenza di flessibilità fa precipitare il proprietario in un labirinto di complessità: aliquote fiscali differenziate, 10% studenti, 21% per il primo breve, 26% il secondo, costi di gestione crescenti e nuovi rischi, vacanza contro morosità. Molti piccoli proprietari, specie anziani, usano il breve per integrare un reddito insufficiente. L’introduzione della cedolare al 26% sul secondo immobile è ora al centro di un acceso dibattito politico e la sua cancellazione appare probabile. Lo stesso Ministro Giorgetti ha aperto a correttivi, pur criticando il modello Airbnb che «ha distrutto il mercato degli affitti». Lega e Forza Italia chiedono di cancellare la «tassa sciocca». L’analisi costi-benefici, ipotizzando un probabile ritorno generalizzato al 21%, solleva la domanda fondamentale: mantenere la disponibilità immediata dell’immobile compensa i costi gestionali e i rischi, posto un trattamento fiscale uniforme?
Se il requisito del proprietario è poter disporre dell’immobile in tempi rapidi, la locazione tradizionale 4+4 o 3+2 è esclusa per definizione. Le alternative reali sono la locazione transitoria (studenti, 1-18 mesi) o l’affitto breve (turistico, <30 giorni). Per determinare il rendimento netto, il calcolo richiede un’estrema precisione. Il rendimento lordo è ingannevole; quello netto impone di sottrarre meticolosità ogni spesa: costi di gestione operativa, imposte (ipotizzando 10% studenti, 21% per 4+4 e 21% per tutti i brevi), Imu, Tari e spese condominiali non a carico dell’inquilino. In sintesi, la formula base da considerare è: Rendimento netto % = (Affitto annuo lordo – Costi gestione annui – Tasse Totali Annue) / Valore immobile] x 100. Per la locazione a studenti a canone concordato la cedolare è al 10%, ma il contratto richiede la prova documentale dell’esigenza transitoria. Per l’affitto breve (<30 giorni), i costi di gestione, commissioni OTA 15-20%, pulizie, utenze, assorbono realisticamente il 30% dei ricavi. Resta ferma la presunzione di attività imprenditoriale oltre i quattro appartamenti, che richiede partita Iva e preclude la cedolare secca. Vanno aggiunti gli obblighi di comunicazione alla Questura, entro 24 ore dall’arrivo, e l’esposizione del Codice identificativo nazionale (Cin).
L’indagine, basata su aggregazioni di dati dei principali portali, medie 2025, mostra che con il 21% l’affitto breve vince quasi ovunque. A Milano (zona Loreto, es. Via Macchi, 5.200 €/mq), il breve (oltre 5,4% netto) stacca il 4+4 (4,0%) e gli studenti (3,6%). A Firenze (zona Statuto, es. Via XX Settembre, 4.000 €/mq), il breve (oltre 6,2% netto) doppia quasi il 4+4 (4,4%). A Roma (San Lorenzo/Termini, es. Via Tiburtina, 3.800 €/mq), il breve (oltre 5,2%) batte il 4+4 (4,5%). A Napoli (Stazione Garibaldi, es. Corso Novara, 2.000 €/mq) e Palermo (Stazione Centrale, es. Corso Tukory, 1.200 €/mq), i bassi costi d’acquisto portano a rendimenti altissimi: a Napoli il breve (oltre 7,3%) surclassa il 4+4 (5,3%); a Palermo (oltre 8,2%) batte il 4+4 (7,1%). Torino (Porta Nuova/Crocetta, es. Via Lamarmora, 2.900 €/mq) conferma il vantaggio: il breve con cedolare al 21% genera un netto superiore al 5,4%, staccando il 4+4 (4,3%) e gli studenti (3,7%). Genova (Brignole/Foce, es. Via Tolemaide, 2.700 €/mq) è il caso più equilibrato. Se con il 26% il 4+4 vinceva (4,7% vs 4,3%), con un’aliquota uniforme al 21%, il rendimento netto dell’affitto breve (4,63%) raggiunge quasi quello del 4+4 (4,7%). A Genova la scelta si gioca più sulla gestione del rischio che sul rendimento.
L’analisi dei rendimenti è incompleta senza quella dei rischi. L’affitto breve ha un rischio di vacanza, occupazione media 2025 al 64%, ma l’insolvenza è nulla per il pagamento anticipato. La locazione tradizionale ha il rischio opposto: la morosità. I tempi per uno sfratto possono richiedere 5-6 mesi per la convalida e fino a due anni per il rilascio. Un solo inquilino insolvente azzera la redditività di anni. Per cautelarsi: deposito cauzionale, massimo 3 mensilità per legge, con interessi legali da corrispondere, fideiussione, o polizze “Affitto sicuro”, che costano il 3-5% del canone.
Resta l’ultimo caso: l’immobile sfitto, spesso per paura della morosità o per costi di ristrutturazione. È una passività certa. A fronte di 500mila immobili in locazione breve, 9,6 milioni di seconde case in Italia restano non utilizzate. Un trilocale sfitto a Torino (in Via Lamarmora) costa circa 2.560 euro l’anno di sole spese fisse, Imu, Tari, condominio. Se per affittarlo occorre spendere 46.400 euro, 20% del valore, lasciarlo vuoto costa al proprietario oltre 15mila euro l’anno (costi fissi + mancato guadagno netto del breve). L’investimento si ripagherebbe in meno di 4 anni. Si consideri il caso del proprietario “ricco di patrimonio ma povero di reddito”, asset-rich, cash-poor, che non dispone della liquidità per la ristrutturazione.
Potrebbe valutare un mutuo liquidità decennale, garantito dall’immobile, per coprire i 46.400 euro. Ipotizzando un Taeg del 5%, la rata annua ammonterebbe a circa 5.900 euro. In questo scenario, affittando a breve, ipotizzando 13mila euro netti/anno, il proprietario incasserebbe 13mila euro. Pagata la rata di 5.900 euro, otterrebbe un flusso di cassa netto positivo di circa 7.100 euro l’anno. Con questo flusso, l’investimento iniziale verrebbe recuperato in 6,5 anni.
In conclusione, per chi esige flessibilità, il breve resta la scelta obbligata e, se l’aliquota si confermerà uniformemente al 21%, risulterà quasi sempre anche la più redditizia, contribuendo al Pil per 41,7 miliardi, si stima. Se la flessibilità non è un imperativo, il 4+4 tradizionale protetto da polizza resta un’opzione solida. La locazione a studenti è la via della prudenza. Ipotizzando il probabile mantenimento del 21%, la scelta si gioca più sulla gestione del rischio, vacanza contro morosità, e sull’impegno operativo che sul puro rendimento netto, dove il breve appare avvantaggiato.