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 2025  novembre 03 Lunedì calendario

Claudio Amendola: “Ero un bugiardo, da ragazzo simulai un furto in casa mia e picconai una chiesa”

Claudio Amendola, in Fuori la verità di Davide Minnella (dopo la Festa di Roma, in sala il 6 novembre con PiperFilm) è un padre che accetta di scoprire in un reality in diretta i segreti e le bugie più impensabili della sua famiglia. Cosa l’ha convinta?
“Ho letto la sceneggiatura d’un fiato: moderna, nuova, piena di roba: sulla famiglia, sul mondo della televisione, sui rapporti, sulla verità e sulle bugie. E se ti offrono un film con Claudia Pandolfi e Claudia Gerini sarebbe sciocco dire di no. Ormai faccio tanta televisione e per il cinema mi deve proprio incuriosire. È successo con Noi e la Giulia, Suburra, e questo. L’ho visto e sono contento di averlo fatto: ci costringe a guardarci un po’ dentro. Quante bugie diciamo, bianche o nere. Non è sbagliato il monologo iniziale della conduttrice Pandolfi: mentiamo due o trecento volte al giorno. Ogni tanto ci penso e almeno venti o trenta le riconosco”.
Che rapporto ha avuto da ragazzo e che rapporto ha oggi con la verità?
“Ammetto e mi cospargo il capo di cenere. Sono stato un gran bugiardo, specie da ragazzino ho detto bugie che mi sono portato appresso per lustri. E poi si fa fatica a ricordare che cosa si è detto. Sono state quasi sempre bianche. Qualcuna grigia”.
Quelle più clamorose?
“Ce ne sono alcune che reggono da quarant’anni. Ai tempi del liceo ho finto un furto in casa perché mi avevano rubato lo stereo dalla macchina. Negli ’80 lo si toglieva e metteva sotto il sedile. Non lo toglievo, me ne hanno rubati 12 e papà Ferruccio ricomprava. Una volta prendo l’auto della moglie di papà, si raccomanda “togli lo stereo”. Non lo faccio, me lo rubano. Simulo il furto in casa. Abitavamo a Formello in una bifamiliare. Faccio una messinscena degna di un film. Un’altra volta ho picconato il muro di una chiesa: da ragazzini ci avevano dato una sala della canonica per mettere gli strumenti della nostra band rock. Il prete superiore, che era contro di noi, ci mura l’entrata. Noi la buttiamo più per riprenderci gli strumenti. Il prete mi vede. Va da mio padre e io nego spudoratamente, il giorno dopo porto un colpevole, un mio amico che se l’accolla dicendo che è stato lui. Tutto pur di non dargliela vinta”.
Sul set?
“Sul lavoro no. Da regista capita che devi tagliare scene per motivi produttivi, magari importanti per un attore. Non sai come dirglielo e così: “Purtroppo siamo fuori budget e la scena dobbiamo tagliare”. Ma da adulto ci sono più omissioni che bugie”.
Riconosce quelle dei figli?
“Sono una pippa. Credo a tutto, mi fido ciecamente. Sono stato un genitore per cui non c’è bisogno di mentire. Ho detto sempre: “Accetto qualunque verità, a meno che non siate dei criminali. I miei figli sanno che qualunque sciocchezza facciano, è meno di quanto ho fatto io. E poi ho tre figli pazzeschi che non ne hanno mai fatte di grosse. C’è una meravigliosa canzone di Giorgio Gaber, La bugia: spesso è molto meglio una comoda bugia di una scomoda verità”.
Le è capitato di dire verità molto scomode?
“Sì. Ovviamente. Fanno male. A meno che non ci sia proprio l’esigenza vera e totale di dirla. Forse una mezza verità a volte lenisce un dolore. Le bugie sono legate a fatti e situazioni. Se vuole addolcirla e non compromette la lealtà o l’etica o la morale. Se non intacca un rapporto profondo di amicizia o un rapporto padre e figlia o marito e moglie. A volte fa bene”.
Una verità scomoda che le hanno detto e che le ha fatto pensare che forse era meglio una bugia?
“Qui faccio più fatica. Mi vengono in mente bugie o finte verità che mi sono state dette ed era meglio mi dicessero la verità. È peggio questo della verità nuda e cruda. Mia figlia Giulia mi ha sbattuto in faccia un paio di verità che mi hanno fatto tanto bene. Le sono molto grato, era una verità importante e non una cosa che si poteva bypassare. Anche Rocco un paio di volte mi ha detto la sua. Sono sempre aperto. Se un figlio ti mette di fronte a una tua mancanza devi apprezzare”.
Che idea ha lei oggi di famiglia?
“Sto ultimando I Cesaroni. Più famiglia di questa c’è poco, e anche più famiglia allargata e distorta. L’ho detto tante volte, mi sono arrivati strali da tutte le parti: famiglia è una parola con cui ci riempiamo la bocca. Io parlerei di amore. Ci sono tantissime famiglie dove non c’è amore. E ci sono tante famiglie disagiate e storte dove invece c’è un amore pazzesco. O famiglie belle fatte da due donne o due uomini. Questo deve essere il concetto principe. Parlo di un nucleo di amore, fatto anche di amici. È l’unità che si crea tra persone. Perciò questo bisogna riflettere sul fatto che le più grandi tragedie di violenza sulle donne nascono in famiglia: nella mia non è mai successo perché di base c’è sempre stato amore, rispetto, intelligenza, cultura. Non è un grado di parentela che determina l’amore. Non basta essere madre e figlio o moglie e marito. Bisogna essere persone in grado di amare e rispettare chi sta vicino”.
Nomina i Cesaroni e le si incrina la voce. Che significa per lei questo ritorno?
“Mi viene da piangere appena ci penso. Questa cosa non mi passerà mai. Come con mio padre, se nomino Antonello (Fassari ndr). mi viene da piangere. Quella famiglia sgangherata dei Cesaroni è molto simile alla mia. La mia storia di figlio e poi di padre e adesso di nonno. So che nella nostra famiglia, nonostante mille difficoltà e centomila persone entrate e uscite, c’è stato sempre un grandissimo amore. Oggi mia madre, che si è separata da mio padre cinquantacinque anni fa, dice che a Ferruccio ha voluto bene e che lui voleva bene a lei. Poi mamma ha avuto altri tre mariti e papà altre due mogli. Io ho sorelle. I miei figli hanno fratelli. Ma alla base ci siamo voluti bene. Per me la famiglia è questo”.
Com’è stato ritrovarvi sul set?
“Antonello ci voleva bene e faceva parte di questa famiglia. Ho ritrovato tutti gli attori che ho avuto nei Cesaroni in questa nuova serie. Li ho visti crescere e diventare importanti e poi cadere e poi fare altro. Elena Sofia Ricci e Alessandra Mastronardi, Max Tortora sono parte della famiglia dei Cesaroni. Lo è chi è uscito e chi non è tornato. Pazienza. Io voglio bene a tutti. Farlo da regista mi ha riempito il cuore. È la prima volta. I Cesaroni non è una serie, è un racconto di noi. E ci sono i nuovi, Ricky Memphis e Lucia Ocone, sono diventati Cesaroni in un attimo. Siamo un po’ diversi dal resto della fiction italiana e lo vedrete in onda. Ne sono convinto. Siamo un nucleo forte, che ha la consapevolezza di essere arrivato alle persone. Non ho memoria di un fenomeno popolare come I Cesaroni. Lo vedo nei bambini di oggi che l’hanno guardata su Netflix e non vedono l’ora di rivederla. Perché raccontiamo la verità e le famiglie italiane. C’è Roma. C’è una famiglia simile alla mia. Abbiamo imparato a volerci bene nonostante tutto. Vorrei che il viaggio fosse ancora lungo, il set è la vita, si va a morire in scena. Io voglio morire da Giulio, mentre mi autodirigo”.
Lei è figlio d’arte. Crescere davanti ai riflettori tra gioie e dolori, che ha significato?
“Non mi sono mai posto il problema dell’essere sotto i riflettori. Ci sono nato. È sempre stato normale farci i conti. Ci sono prezzi da pagare. Momenti in cui vorresti tenere le cose per te e te ne chiedono conto pubblicamente. Ma è un prezzo piccolo a fronte di enormi privilegi. Chi fa finta che dia fastidio, mente. È gratificante essere riconosciuti riempiti di attenzioni. Diventa pesante se entri nelle polemiche. Io non ho i social perché se parlo poi sono soggetto alle critiche. Se vado in televisione e dico una cosa poi arriva la replica, ma quando vado e mi racconto con lealtà mi apprezzano. Ho avuto complimenti e applausi per la mia partecipazione a Belve (in cui ha raccontato che faceva uso di cocaina, ndr): ho fatto un outing importante, con coscienza e con lealtà. Da quel momento vanno tutti a Belve a raccontare i fatti loro. Credo di essere una persona per bene. Non ho paura dei miei fantasmi, so parlare dei miei sbagli e delle mie gioie e delle persone che ho amato. Poi ci sono cose talmente grandi che non ne parlo. Mi avete mai sentito parlare di Francesca Neri da quando ci siamo separati? No. Perché sono affari miei e suoi. Le voglio troppo bene. È la persona più importante della mia vita. È la persona che ho amato di più nella mia vita. Non sporcherò mai con neanche un commento”.
Torniamo al concetto di famiglia…
“Francesca è famiglia più di tutti”.

Lo sguardo sulla società. I giovani tornano in piazza per chiedere pace. Che cosa pensa?
“Questo afflato mi ha entusiasmato. Rimane il fatto che è una meravigliosa rosa nuova in un mondo che tende al grigio. Oggi riesco ad accettare che il mondo che ho sognato e la società che ho sognato forse non esistano e forse non esisteranno. È giusto così. Bisogna stare al passo con il mondo. Non si può fare Don Chisciotte. Io però mi cullo nella mia nostalgia. Sono legato a concetti e ideali e sogni che non si avvereranno. Nessuno potrà togliermeli dalla testa. Nessuno potrà dirmi che la Roma non vincerà mai lo scudetto. Io ci credo. Poi non succederà. Spero in un mondo migliore con un indirizzo diverso. Non farò in tempo a vederlo. Mi accontento della nostalgia degli anni meravigliosi che ho vissuto da adolescente e da giovane uomo. Non pretendo che tornino”.
E poi c’è la passione per i ristoranti.
“Il primo l’ho aperto nel novanta. È una cosa che mi accompagna da sempre. Mi piace la tavolata e la convivialità e questo successo soddisfa il mio narcisismo. Mi piace anche avere un piano B. Non si sa mai. Mi dà grandi soddisfazioni. Noi siamo precari. Ho sempre pensato di non accontentarmi. E poi lasciare qualcosa ai figli non è male e i diritti SIAE non bastano”.