Corriere della Sera, 3 novembre 2025
Albania, flop dei centri. Chi ha pagato il conto?
Gli oltre 670 milioni di euro stanziati per i centri in Albania destinati ai migranti, e di fatto vuoti, non sono soldi recuperati in più da qualche parte, ma sono risorse tolte ad altre voci di spesa. Da dove arrivano? La ricostruzione che segue mostra che quando un progetto politico diventa prioritario, i fondi si trovano, anche a costo di ridurre quelli destinati a settori già miseri, come Istruzione, Sanità, Lavoro.
Il 6 novembre 2023 il governo italiano sigla un protocollo con l’Albania per il trasferimento dei migranti soccorsi in acque internazionali da navi italiane. L’accordo prevede la creazione di un hotspot a Shëngjin per le procedure di identificazione e una struttura a Gjadër destinata alla gestione delle richieste d’asilo e alla detenzione degli stranieri irregolari in attesa di rimpatrio, che resta comunque di competenza italiana e deve essere eseguito dal nostro Paese. Gjadër comprende un Centro per il trattenimento dei richiedenti asilo, un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e un penitenziario.
Le norme e l’azzardo
L’iter prevede che un giudice a Roma convalidi il trattenimento entro 48 ore. Il governo Meloni intende applicare la «procedura accelerata di frontiera» che riduce i tempi decisionali a 28 giorni: 7 giorni per la decisione della Commissione territoriale sull’asilo o sul rimpatrio, 14 giorni per un eventuale ricorso e altri 7 per la decisione finale. Questa procedura è riservata ai migranti provenienti da Paesi di origine sicura. In parole povere se il governo italiano ritiene che l’Egitto sia un Paese sicuro, il migrante egiziano deve essere rimpatriato con procedura d’urgenza. Ma è proprio sulla definizione di «Paese sicuro» che si apre il problema.
Fin dall’inizio la scelta di trasferire i migranti in Albania appare un azzardo giuridico. È immediatamente chiara la possibilità che i giudici non convalidino il trattenimento. E a Shëngjin e Gjadër i migranti non possono girare a piede libero. Com’è andata? La cronaca giudiziaria conferma i timori.
La cronaca giudiziaria
Il 4 ottobre 2024, la Corte di Giustizia dell’Ue stabilisce che un Paese è sicuro solo se, in tutto il suo territorio e per tutti, non presenta rischi di persecuzione. È il motivo per cui il 18 ottobre 2024, il Tribunale di Roma non convalida il trattenimento in Albania di 16 migranti da Bangladesh ed Egitto e ne ordina il trasferimento in Italia: «Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture albanesi equiparate alle zone di frontiera è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “Paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto a essere condotte in Italia».
Il governo reagisce con due decreti. Il 23 ottobre 2024 viene istituita per legge una lista di Paesi sicuri. Contestualmente, nella speranza di avere pareri dei giudici più favorevoli, la competenza sulle convalide viene trasferita dal 2025 alla Corte d’Appello di Roma. La strategia non produce risultati. L’11 novembre 2024 sempre il Tribunale di Roma sospende la convalida di altri 7 trattenimenti e rinvia la questione alla Corte di Giustizia Ue.
Il 4 dicembre 2024, la Cassazione specifica che la sicurezza di un Paese può essere valutata in termini di prevalenza e non assoluti, ma ribadisce che la decisione finale spetta al giudice. In pratica occorre valutare caso per caso.
Nemmeno il cambio di competenza funziona. Il 31 gennaio 2025, la Corte d’Appello di Roma non convalida il trattenimento di 43 immigrati, ne ordina il trasferimento in Italia e rinvia nuovamente la questione alla Corte di Giustizia Ue.
L’evoluzione del Protocollo
Insomma: i nuovi decreti, il rimpallo con la Corte d’Appello e la Cassazione e i rimandi alla Corte di Giustizia Ue non risolvono il problema. A questo punto a marzo 2025 il governo destina i centri albanesi anche alla detenzione di migranti irregolari già presenti in Italia, sempre ai fini di un rimpatrio che deve comunque avvenire dal territorio italiano. Le strutture diventano di fatto Cpr extraterritoriali. Anche questa misura viene messa in discussione: la Cassazione chiede un nuovo parere alla Corte di Giustizia Ue, ipotizzando l’illegittimità del trasferimento dall’Italia all’Albania. È da chiarire se trasferire e trattenere in Albania persone già destinate al rimpatrio è compatibile con la Direttiva 2008/115/CE e con i diritti di difesa riconosciuti nell’Ue.
A inizio ottobre 2025 il bilancio è il seguente: almeno 66 immigrati trasferiti dall’Albania nel nostro Paese per ordine dei tribunali, circa 20 attualmente detenuti nei centri albanesi. Numeri ben lontani dallo scopo per il quale quei centri sono stati costruiti, cioè una rotazione di 3.000 migranti al mese.
I costi dell’operazione
Il costo complessivo del Protocollo fino al 2028 con l’Albania ammonta a 671,6 milioni. Per la fase iniziale del progetto sono stanziati 73,48 milioni. E per il 2024 sono finanziati altri 96,1 milioni per i costi operativi. Vediamo allora da dove provengono i fondi per la costruzione dei centri, la loro gestione, gli apparati telematici, per i viaggi, la diaria, il vitto e alloggio degli uomini dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, per l’affitto delle aule a Roma per le video-udienze, per luce e riscaldamento, per le spese di viaggio di avvocati e interpreti, ecc.
La provenienza dei fondi
Concentriamoci sui 169,6 milioni stanziati per la costruzione e le spese operative del 2024.
I 73,5 milioni per la costruzione provengono da tre fonti: 10 milioni dal Fondo straordinario Difesa per la costruzione dei Cpr in Italia, 15,8 milioni dal Fondo esigenze indifferibili, utilizzato anche per calamità naturali e terremoti, e altri 47,68 da una sorta di tesoretto di sicurezza del bilancio dello Stato (il cosiddetto «Fondo di riserva») che ha sottratto risorse a 12 ministeri. Vediamo i tagli principali: Mef (18,3 milioni), Università e Ricerca (3,9), Cultura (3,8), Istruzione e Merito (3,6), Ambiente e Sicurezza Energetica (3,4), Salute (3,2). Somme minori da Difesa (2,3), Affari Esteri (2,2), Lavoro (2), Turismo (2), Infrastrutture (1,6), Agricoltura (1,4).
I 96,1 milioni per le spese operative si dividono tra: 14,9 milioni presi dal Fondo interventi strutturali di politica economica, quasi 1,3 milioni dal Fondo per le emergenze e 80 milioni prelevati da 15 ministeri. I tagli principali: Affari Esteri (14,9 milioni), Mef (10,3), Università e Ricerca (9,3), Infrastrutture e Trasporti (8,4), Agricoltura (8,3), Difesa (7,1), Lavoro e Politiche Sociali (6,4). Somme minori da Turismo (4,6), Giustizia (3,9), Istruzione e Merito (2,6), Ambiente e Sicurezza Energetica (1,9), Interno (1,7), Imprese e Made in Italy (244.814 euro), Salute (144.937 euro) e Cultura (121.167 euro). Tutte le cifre sono arrotondate per leggibilità.
In conclusione, dal 2025 al 2028 sono previsti costi per circa 125 milioni l’anno con il rischio che siano più di propaganda che di sostanza. Su queste spese ora pende un esposto alla Corte dei conti dell’organizzazione internazionale indipendente ActionAid.