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 2025  novembre 01 Sabato calendario

Inflazione, rallenta il carrello della spesa. L’Italia sesta in Ue per la pressione fiscale

L’Italia si conferma tra i Paesi europei dove il peso dell’inflazione è minore. L’Istat ieri ha parlato di una «sensibile decelerazione» e ha stimato che a ottobre l’indice dei prezzi al consumo è diminuito dello 0,3 per cento su settembre. A livello annuo è stato raggiunto un aumento dell’1,2 per cento. Un mese fa il dato tendenziale era a +1,6. Nell’Eurozona, invece, si è registrato un livello nello stesso periodo del +2,1 per cento. Soprattutto rallentano i rincari dei prezzi dei beni del carrello della spesa: +2,3 per cento a ottobre contro il +3,1 registrato a settembre. Detto a questo, però a livello annuo, il prezzo del cacao e cioccolato in polvere è salito del 21,8 e il caffè del 21,1.
A livello annuo a bloccare, poi, la corsa del carovita gli energetici regolamentati (da +13,9 per cento al -0,8 per cento a livello annuo) e gli alimentari non lavorati (dal +4,8 al +1,9 sempre tendenziale). La voce “energetici regolamentati” cala anche a livello mensile (-6,7). Sempre a livello congiunturale si riducono servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-1,2 per cento), energetici non regolamentati (-0,8), beni durevoli, servizi relativi alle comunicazioni e dei servizi relativi ai trasporti (-0,3).
L’inflazione acquisita per l’anno è pari all’1,6 per cento e al 2 per la componente di fondo. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha sottolineato: «Quando siamo giunti al governo il carovita era all’11,8 per cento, oggi è all’1 virgola».
Intanto proprio il combinato disposto tra carovita e bassa crescita mantiene l’Italia tra i Paesi con una maggiore pressione fiscale. Fenomeno che riguarda la maggior parte dei Paesi del Vecchio Continente. Stando a una ricognizione pubblicata ieri da Eurostat, l’istituto statistico europeo, si scopre che nel 2024 nella Ue il rapporto tra la pressione fiscale e la crescita (cioè la somma di imposte e contributi sociali netti in percentuale del Prodotto interno lordo) si è attestato al 40,4 per cento, in aumento dal 39,9 del 2023. Nell’Eurozona, il dato è salito dal 40,5 al 40,9 per cento nello stesso periodo, a conferma di una serie storica che cresce in maniera costante ad eccezione di particolari momenti in cui si verificano shock esterni, come la crisi finanziaria del 2009 (-5,2 per cento) o la pandemia di Covid nel 2020 (-3,6 ).
LA CLASSIFICA
L’Italia è poco sopra la media europea, piazzandosi al sesto posto nella classifica redatta dall’ufficio statistico Ue. Il rapporto tasse/Pil italiano è salito dal 41,4 del 2023 al 42,6 per cento dell’anno successivo, il nono incremento per entità. L’impatto di gettito fiscale e previdenziale aumenta nonostante una crescita del Pil che, per il nostro Paese, nel periodo considerato ha lasciato qualche decimale di punto a terra, passando dall’1 per cento di due anni fa al +0,7% dello scorso.
L’Italia è in compagnia di altri 21 nazioni: le maggiori variazioni percentuali si sono registrate a Malta (dal 26,7 al 29,3 per cento), in Lettonia (dal 33% al 35,5), Slovenia (dal 36,8 al 38,8) e Croazia (dal 36,9 al 38,6).
Soltanto in cinque Paesi Ue il carico fiscale e previdenziale in relazione al Pil si è ridotto anziché aumentare: sono Francia (dal 45,6 al 45,3 per cento), Svezia (dal 42,6 al 42,5) Finlandia (dal 42,9 al 42,3), Paesi Bassi (dal 39,7 al 39,4), Portogallo (dal 37,2 al 37,1). In termini assoluti, nel 2024, il gettito fiscale e dei contributi sociali ha avuto un incremento nell’Ue di 387 miliardi di euro rispetto al 2023, attestandosi a 7.281 miliardi di euro.
Nelle scorse settimane il governo italiano ha spiegato che rischia di essere fuorviante parlare di «aumento generale della pressione fiscale», sostenendo che dietro l’incremento – tra l’altro in termini assoluto riconosciuto pure dal Documento programmatico e finanziario pure per l’anno in corso – ci siano «una ridistribuzione tra contribuenti» e «l’aumento dell’occupazione». A questi fattori, va aggiunto anche il peso dell’inflazione e le code che ancora gravano sul potere d’acquisto per il maxi carovita tra gli anni 2021 e 2023. Quello registrato soprattutto dopo l’avvio del conflitto russo ucraino e scattato dopo il Covid e che ha fatto aumentare i prezzi delle famiglie del 14,2 per cento. Numeri in generale più alti sia dell’aumento della crescita del Pil sia degli incrementi salariali, che soltanto nell’ultimo biennio hanno ripreso a correre con la firma di importanti intese.
In questo scenario, come ha riconosciuto anche la Bce, gli interventi in materia fiscale del governo (riduzione strutturale da 4 a 3 aliquote Irpef, taglio del cuneo fiscale e maggiori deduzioni e detrazioni nel sociale) fin qui messi in campo hanno finito per ridurre il fiscal drag soprattutto per i redditi medio-bassi.