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 2025  novembre 02 Domenica calendario

Enrico Montesano: “Lo schiaffone dato a Vitti, i sassi lanciati da Monicelli e la (vera) crisi con Fenech”

Enrico Montesano siamo a 80 anni e un tour teatrale.
La mia età è quattro volte venti.
E… ?
A cinque non so se ci arrivo.
Non dica così.
Sono diventato più saggio.
Quindi?
Evitiamo argomenti divisivi?
Niente politica, niente vaccini e pure niente calcio?
Quante volte ho sentito la frase: “Peccato, hai un difetto, sei della Lazio…”
Una certezza.
Almeno una volta al giorno.
I suoi colleghi romani sono quasi tutti romanisti.
Già negli anni 60 era rischioso dichiararsi laziale.
Non ha resistito.
Buonafede, incoscienza, generosità, me butto d’impulso. Sono così. Poi la Lazio è una passione, una fede e nun je l’ho fatta a sta’ zitto.
Ha rispettato il cuore.
Ci pensavo ieri alla parola rispetto: è venuto a mancare verso il vecchio attore; soprattutto se qualcosa di buono ha dato; a uno poteva non piacere Ernesto Calindri, ma quando arrivava questo anziano signore, elegante, un minimo di rispetto lo si riconosceva.
Rispetto o timore reverenziale.
Quando mi avvicinavo ad Alberto Sordi o Vittorio Gassman sentivo quel senso di rispetto, per non parlare di Aldo Fabrizi: con lui era previsto il “voi”.
All’antica.
Tutta la compagnia gli si rivolgeva con il “voi”; i macchinisti e gli elettricisti lo appellavano “commendatore”.
Il commendatore cucinava.
All’epoca del primo Rugantino, nella tournée americana, è partito con il necessario per la spaghettata dentro la valigia, compreso il parmigiano; quando sono arrivato io non cucinava, però si presentava con merende importanti.
Quanto importanti?
Me chiamava in camerino. Entravo. “Guarda…”. Apriva il cassetto della scrivania, quella del trucco, e tirava fuori un vassoio pieno de pagnottelle. “Oggi ne ho fatte un po’ de più…”. E così passavamo la pausa tra il primo e il secondo spettacolo.
Altro che reflusso.
Al ristorante ordinava per tutti: “Te prendi la carbonara, te l’amatriciana”. Poi assaggiava.
Oltre a Fabrizi di chi aveva soggezione.
Da ragazzino mi chiamarono in tv per una comparsata con Mina, Franco e Ciccio: non riuscii a recitare per le risate, ma risate vere, soprattutto per Franco e le sue espressioni facciali.
E Mina al suo massimo.
Erano i tempi di È l’uomo per me, di Studio Uno: avvicinarsi artisticamente non era semplice.
Avrà pensato: che ci faccio con questi giganti.
(Ride) Non lo so, perché nella mia ingenuità, nella mia superficialità, ero preoccupato, o concentrato, su quello che dovevo combinare, sul ricordarmi tutto; mi rendevo conto della grande distanza tra me e loro.
Agli inizi è così.
Mi chiamano per una posa in un film con Sophia Loren (Questi fantasmi del 1967). Sul set la vedo e resto immobile, affascinato. Arriva il direttore di produzione: “Allontanate, non vedi che la signora Sophia sta a parla’…”. “È lei che si è avvicinata”, In realtà ero lì, davanti al mito.
Ci ha parlato?
No, interpretavo solo un idraulico. E hanno tagliato la scena; lì, oltre alla Loren, per la prima volta ho visto Vittorio Gassman e quando anni dopo ci siamo ritrovati, la sfida è stata recitarci insieme.
Sfida importante.
Davanti a Vittorio mi sono aumentate le pulsazioni, mi ripetevo: “Stai in campana, non fare una brutta figura”.
Era nel Conte Tacchia.
Mi sono divertito un sacco.
Per il pubblico è più “Conte Tacchia” o “Er Pomata” di Febbre da Cavallo?
Per gli amanti del cinema, e soprattutto a Roma, più “Pomata”; ogni tanto me urlano: “Dacce ’n cavallo bono!”.
C’era Gigi Proietti: oggi sono 85 anni dalla nascita e 5 dalla morte.
E che devo di? È un monumento del teatro italiano, attore con una tecnica straordinaria. E una voce meravigliosa sia nella recitazione che nel canto.
Anche lei è un numero uno.
Se dovete riconoscerlo, fatelo subito, finché sono in vita; (sorride) sono il più grande comico morente.
Curriculum: ha vinto un David per il suo film da regista, A me mi piace.
Quello del regista è un mestiere frustrante.
Perché?
Magari lavori due o tre anni su un progetto, poi esce Rocky e ti smontano tutto; con me si è avverata la celebre battuta di Cinecittà: “Oh, stai a gira’ due film: il primo e l’ultimo”.
Nel cast c’è Anna Marchesini.
Presa prima che diventasse famosa: era bravissima, con lei ridevo come con pochi altri, e poi con il suo viso irregolare, i suoi movimenti, la trovavo sexy.
Ancora curriculum: il suo Fantastico ha segnato picchi d’ascolto clamorosi.
Sono andato fortissimo, anche più di Adriano Celentano, con record di spettatori e di biglietti della Lotteria.
Però dal 2000 in poi il suo successo è calato.
Ho sbagliato.
Cosa?
Mi ha fregato la frenesia, l’irrequietezza, la continua voglia di cambiare. Dovevo ripetere Fantastico e proseguire con Pazza famiglia (serie tv).
Eppure c’è stato un tempo…
Tra gli anni 70 e 80 avrò girato una settantina di film, tra belli e brutti.
Un’infinità.
Al tempo ero sensibile allo stimolo di una critica, quella che ci invitava ad alzare il tiro, a educare le masse.
Era giusto?
A posteriori è una cavolata, la massa è stata sempre e solo sfruttata; comunque negli anni 2000 mi sono dedicato alle commedie musicali.
Quale film è brutto?
Qualcuno girato per amicizia, per conoscenza, per affetto. Di alcuni non ricordo il titolo.
In tv gira La squadra di calcio di Sergio Martino: lei circondato da belle donne. Nude.
Ammazza.
Renato Pozzetto ha dichiarato che nella Patata bollente non è stato proprio indifferente alla Fenech che esce dalla vasca…
(Arriccia il sopracciglio, scandisce) È successo anche a me, nel Ladrone.
Dolore.
(Annuisce a “dolore”) Non posso parlare.
Ceda.
Edwige indossava una tunichetta e Pasquale Festa Campanile (regista) urlava “ora esci dall’acqua, tutta bagnata!”. Quando l’ho vista così, era meglio che nuda. Come potevo restare indifferente?
Professionalità messa a dura prova.
Poi Edwige non è solo bella, è intelligente, simpatica, brava.
Quindi il suo lavoro a volte è una faticaccia.
Eccome; perché, Barbara (Bouchet)? Bellissima e comica; (ci pensa) aggiungo Monica Vitti, fuoriclasse.

Vitti intransigente?
Con lei sono inciampato.
Cioè?
In Camera d’albergo di Monicelli, in una scena, dovevo assestarle uno schiaffo. Al quarto ciak, non so come né perché, ho sbagliato misura e le ho mollato uno sganassone terrificante. E Mario: “Bravo, perfetto!”. Dai sensi di colpa ho vagato ore, per Roma, per trovare dei fiori o dei cioccolatini.
Monicelli tremendo.
Nei Picari la scenografia era costruita con sassi finti, mentre a me e Giancarlo (Giannini) ci tirava quelli veri. Semo scappati.
Nei Picari c’è Gassman.
A Vittorio non li lanciava.
Gassman austero.
E spiritoso; in una scena del Conte Tacchia aveva preso di mira Paolo (Panelli): lo ha fatto diventare matto.
In quale modo?
Alle dieci del mattino dovevamo girare una scena di duello e in quella scena era prevista una merenda. Paolo sul cibo era attento e schizzinoso. Così di nascosto Vittorio gli infilava dei filetti di baccalà fritto nel panino e lui era costretto a masticarli perché Sergio Corbucci, d’accordo con Vittorio, non dava lo stop.
E Panelli?
Allo stop sputava il baccalà accompagnando il gesto con un “mortacci vostri”.
Lei si è divertito.
Con Paolo tanto, mentre con Vittorio il piacere arrivava dal livello di recitazione: stare davanti a lui era come giocare a tennis con il campione del mondo.
I soldi contavano?
Meno.
Avrà incassato moltissimo.
Sì, ma avevo un agente bravo a farmi pagare meno degli altri.

C’è del “marcio”?
Metta i puntini di sospensione, perché il dubbio rimane; (pausa) anche con Celentano mi sono divertito.
Renato Pozzetto?
La sua comicità surreale, lontana dalla mia, mi piaceva tanto; Noi uomini duri è stata un’intuizione di Mario Cecchi Gori.
Quando c’erano i grandi produttori.

I vecchi lupi come Dino de Laurentiis: con lui, negli anni 70, firmai un contratto di tre anni da un milione al mese.
E lei?
Per un milione al mese firmavo pure l’elenco del telefono.
Il primo sfizio?
Una Mercedes, ma non grande, per non strafare.
La Mercedes non era piccola.
Prima solo macchine usate, anche di terza mano; in casa non abbiamo vissuto difficoltà economiche, ma neanche la ricchezza.
Mai…
Noi andavamo in vacanza a Colle Oppio (parco romano).
Prima reale vacanza?
Grazie al lavoro; con il cinema ho preso per la prima volta il vagone letto, l’aereo, la nave…

Impossibile non montarsi la testa.
Invece ci sono riuscito, però ho subito l’ansia, lo stress, ho lasciato spazio al nervosismo.
Il rischio è non godersi nulla.
È esattamente così; (abbassa gli occhi, chiude le braccia a difesa) magari gli altri mi credevano silenzioso, mi giudicavano scorbutico. Ero solo preoccupato.
Bella fregatura.
Il primo choc l’ho provato dopo essere apparso in tv: all’improvviso ero conosciuto in tutta Italia.
E lì?
Forse mi ha aiutato il non aver avuto una madre, essere cresciuto in collegio. Me la dovevo cavare da me e avevo già le spalle larghe.
Insomma, il boom.
13 o 14 milioni di persone davanti allo schermo, quando il mio standard erano gli spettacoli al Puff con Lando Fiorini, con lo stesso Lando che di sera mi rassicurava: “Oggi andiamo bene, abbiamo 35 spettatori!”. Di solito erano 30.
Lando Fiorini grande romanista.
Una domenica c’era il derby e parte una scommessa: “Chi perde corre in mutande intorno alla statua di Garibaldi al Gianicolo”. Quella volta ha vinto la Lazio.
Prima ha citato Noi uomini duri. Tra i protagonisti c’è Alessandra Mussolini.
Bella, molto bella e pure bravina; (pausa) ho recitato anche con Veronica Lario, ma nessuno ne parla.
Come mai?
Ci fu una sorta di veto del Cavaliere, gelosissimo; il film era Sotto.. sotto.. strapazzato da anomala passione di Lina Wertmüller e il Cavaliere si raccomandava: “Enrico, trattamela bene”; così Lina vestiva il ruolo del gendarme: guai ad avvicinarla sul set.

Più feroce Monicelli o Wertmüller.
Mario! Lui era tremendo: non diceva nulla, ma bastava un suo sguardo per restare zitti.
Lei chi è?
Un uomo curioso.