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 2025  novembre 02 Domenica calendario

La psicologa dei soldati israeliani dell’Idf: “12 mila diagnosi ignorate”

“Il disturbo post traumatico da stress si può accuratamente diagnosticare solo a cose fatte. Qui siamo ancora all’inizio, molti soldati sono ancora immersi nella guerra e faranno i conti solo più avanti con il ptsd o con le ferite morali”. Ronit Haimoff Zilberman ha fondato il TraumaFocused Integrative Center di Tel Aviv. È una terapeuta attiva nel sociale, fa parte della rete “Social workers for democracy” e della “peace partnership” che riunisce 60 associazioni, critiche con il modo in cui le autorità stanno gestendo il costo sociale della guerra per gli israeliani. E non soltanto di quello fisico, viste le dimissioni dell’avvocato Tomer-Yerushalmi. “In Israele si preferiscono i terapie utili nell’immediato ma non ad affrontare le ferite psicologiche profonde di un modo di vita arrivato agli estremi”.
“Estremi” in che senso?
Siamo costantemente in guerra, in varie forme, e penso che non finirà, finché continuiamo a occupare i territori palestinesi. Vivere sempre seduti sulla spada non è un modo di vita accettabile, e sono 70 anni che andiamo avanti così in questo Paese. Sono una figlia di un sopravvissuto dell’olocausto, mio padre e gli altri ci hanno insegnato che bisogna cercare la pace, che non si può vivere in guerra.
Questa guerra ha un costo maggiore rispetto a quelle del passato?
Penso si tratti del peggior conflitto mai vissuto in Israele, e quello con le conseguenze più gravi dal punto di vista mentale, fisico ed economico. In un modo o nell’altro, ha ferito ogni cittadino di Israele, a cominciare dal 7 ottobre. Inoltre, in passato le guerre univano il Paese, mentre negli ultimi due anni la società si è spaccata e radicalizzata. Le regole di guerra sono saltate: a Gaza i soldati mettevano l’arma in modalità automatica: prima spari e poi pensi. Solo che quando torni ci devi convivere, nascono meccanismi di difesa. Stanno aumentando però anche le denunce.
Esiste una stima dei numeri di soldati con ptsd?
Il governo li ha, ma non ce li dice. Possiamo parlare sicuramente di 12 mila diagnosi di ptsd, a cui si aggiungono 63 suicidi conosciuti, 23 nell’ultimo anno.

Come vengono trattati i pazienti?
Quello che viene dato è molto poco. Antidepressivi, benzodiazepine per dormire. Un’ora o due a settimana, qualche occasionale viaggio terapeutico di gruppo. Quando si riscontra l’inefficacia, è possibile prescrivere marjiuana o mdma terapeutici. Ma siamo molto lontani da quello che serve, ovvero una terapia per il reintegro sociale. Il servizio è carente anche per gli operatori come me: nessuno mi dà supervisione, nessuno mi segue o controlla se sto facendo un buono o un cattivo lavoro. Ogni 2 mesi scrivo due righe di valutazione e finisce lì.
Ora che i soldati torneranno a casa, che rischi vede per la società in generale?
Solitamente i soldati affetti da ptsd tendono all’autolesionismo. Nell’esercito israeliano c’è un grande problema di suicidi, anche da prima del 7 ottobre, di cui si parla pochissimo. Nel 2019 era circa il 40%. E chi viene reclutato passa dei test psicologici, quindi significa che non aveva problemi prima. C’è qualcosa che non funziona e penso dipenda dalla nostra classe politica. Questo Paese ha smesso di cercare la pace, com’era con Rabin, e ha prolungato una guerra che a mio parere si doveva fermare dopo i primi tre mesi. Ora non sono chiari i confini della vittoria e si sono rimosse le sofferenze provocate ai palestinesi.