La Stampa, 31 ottobre 2025
Tasse e salario minimo. La sfida ai ricchi di New York del "socialista" Mamdani
«Mamdani ti ho votato. Una foto, una foto!» urla la signora afroamericana dall’altra parte della strada. Zohran sorride, saluta con la mano, poi con passo spedito entra nella bodega dove ha dato appuntamento a un piccolo gruppo di giornalisti e fotografi, seguito dai giovanissimi che compongono il suo staff. Il tempo di stringere qualche mano, di ordinare la sua colazione preferita – panino uova e formaggio con aggiunta di jalapeño – ed è di nuovo fuori, circondato da una folla che intanto si è fatta più consistente. L’uomo che tra qualche giorno potrebbe essere eletto sindaco di New York – il primo musulmano della storia la cui candidatura “anti-sionista” è stata contestata da mille rabbini statunitensi – è qui nel Bronx per ricevere l’appoggio della United Bodegas of America, l’associazione che riunisce i famosi negozi di alimentari gestiti da immigrati che sono uno dei simboli della città, un luogo dove si crea comunità perché «la bodega è quel posto dove vai anche se non hai i soldi per pagare, perché il proprietario ti conosce e si fida di te», dirà più avanti Mamdani durante un incontro con i politici locali. «Lo sostengo dall’inizio», dice il senatore dello Stato di New York Gustavo Rivera. «Per me è un onore averlo nel mio distretto. E il fatto che possa battere Cuomo mi dà ancora più soddisfazione», aggiunge ridendo.
La visita in questo quartiere di New York, nel cuore del Bronx – siamo dietro il famoso zoo, una delle zone più povere dello Stato, se non la più povera – ha un doppio significato. Primo, è un’area che durante le primarie ha votato in maggioranza per l’ex governatore Andrew Cuomo che, sconfitto, si ripresenta ora alle elezioni generali come indipendente. Secondo, perché Radhamés Rodriguez, presidente della United Bodegas of America, a giugno aveva negato il suo appoggio a Mamdani, sostenendo che il suo piano di aprire supermercati gestiti dal comune avrebbe danneggiato gli oltre 14 mila piccoli negozi di alimentari che l’associazione rappresenta.
«Dopo aver appreso di più sulle sue proposte, siamo giunti alla conclusione che sia lui il candidato più adatto a offrire ai nostri membri un percorso verso il successo», dice Rodriguez alla piccola folla, pronunciando il discorso sia in inglese che in spagnolo e aggiungendo che uno dei motivi è che Mamdani, essendo un immigrato, è il candidato che può davvero capire le esigenze di quelli come lui. Sono le ultime battute di una campagna elettorale travolgente che in un anno ha portato questo trentaquattrenne con pochissima esperienza politica a essere non solo il favorito nella corsa a sindaco della più grande metropoli americana, ma anche il volto di quello che potrebbe essere il futuro del partito democratico americano.
Per quanto i sondaggi diano Cuomo in leggera rimonta, il vantaggio di Mamdani su di lui e sul candidato repubblicano, il pittoresco fondatore dei “Guardian Angels” Curtis Sliwa (fermo intorno al 10%) dovrebbe essere tale da assicurargli la vittoria il prossimo quattro novembre (giorno delle elezioni, mentre la città sta già votando grazie al voto anticipato iniziato il 25 ottobre). È indubbio che la sua vittoria, con il suo “populismo municipale” come l’ha descritto Asli Aydintasbas su Politico – un programma fatto di edilizia popolare, asili gratis, supermercati a prezzi calmierati, espansione dei servizi pubblici, salario minimo a 30 dollari all’ora entro il 2030 – costringerebbe i democratici tutti a spostarsi più a sinistra di quanto siano mai stati. Non senza problemi. La candidatura di Mamdani ha provocato reazioni che sono arrivate fino alla Casa Bianca, con Trump che prima ha minacciato di prendere il controllo di New York nel caso «cadesse nella mani di un comunista» e poi ha suggerito che gli avrebbe strappato la cittadinanza (Mamdani, nato in Uganda, è naturalizzato americano dal 2018). Non solo, contro di lui si sono riuniti i miliardari della città – una delle sue proposte è di aumentare del 2% le tasse a chi guadagna più in un milione l’anno – che hanno investito milioni su milioni nel tentativo di fermarne la corsa, finanziando direttamente Cuomo o attraverso spot elettorali negativi. Tentativi che, almeno fino ad oggi, hanno avuto il risultato di rendere Mamdani ancora più simpatico e “anti sistema”.
«Bill Ackman (uno dei miliardari più contro, ndr) sta spendendo più soldi di quanti gliene prenderei io con le tasse», ha detto Zohran quando è andato ospite nel podcast di Andrew Schulz, uno di quei programmi da maschi bianchi che sono stati fondamentali nel far vincere Trump nel 2024 e che adesso sembrano appoggiarlo. La comunicazione social vincente, certo, ma anche una innata capacità di far politica dal basso, quella che ti fa sorridere sempre, che ti fa stringere centinaia di mani al giorno, che ti fa ascoltare l’interlocutore indipendentemente da chi sia o, almeno, che dà all’interlocutore l’impressione di essere ascoltato.
Qualche giorno prima la tappa nel Bronx, Mamdani ha riempito lo stadio di Flushing Meadows con il raduno “New York City Is Not for Sale”. Oltre tredicimila persone ad ascoltare lui, Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders. Un raduno che ha «surclassato qualsiasi cosa vista nelle recenti elezioni a sindaco di New York» ha scritto il New York Times e che è sembrato più adatto a un candidato alla presidenza.
«Quando abbiamo iniziato, un anno fa, c’ero solo io», dice uno dei fotografi accampati con altre decine fuori dalla bodega. Mamdani intanto ha finito il suo discorso e scappa già verso il prossimo appuntamento. «Ti ho votato! Ti ho votato!», ripete la signora. Lui addenta il panino, ma prima di infilarsi in auto si ferma per un selfie con lei. —