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 2025  ottobre 31 Venerdì calendario

Via al derby tra Halloween e Ognissanti

Mancano poche ore al fischio d’inizio del derby Halloween-Ognissanti che ogni anno ripropone lo scontro tra gli innovatori e i tradizionalisti, fra i realisti e i nostalgici. I primi hanno ormai metabolizzato il format festivo Usa. I secondi invece considerano la notte dei morti viventi una forma di colonizzazione culturale che rischia di cancellare la memoria delle feste contadine Made in Italy in cui si celebrava il ritorno annuale dei morti. Di fatto, che ci piaccia o no, in questo momento streghe, zombie e altre larve ritornanti sono in vantaggio. Perché intercettano meglio lo spirito della ludoteca globale e della sua domanda di intrattenimento noir. Eppure, questa burla macabra a base di dolcetti o scherzetti è quel che resta di antichi giochi funebri che servivano a esorcizzare la paura della morte. Ed erano egualmente diffusi nel mondo celtico e in quello latino. In realtà per quanti sforzi faccia per apparire una baracconata goliardica e superficiale, un’occasione consumistica, Halloween non riesce a nascondere del tutto il fatto di essere una veglia funebre, una sliding door tra l’aldiquà e l’aldilà. La verità è che Halloween è la fusione pop di feste antichissime e di riti dimenticati che hanno visto la luce nel bacino del Mediterraneo e nel Nord Europa. A cominciare dai Lemuria dei romani, rituali collettivi per tenere lontani gli spiriti dei morti, i lemuri appunto. Queste cerimonie, secondo la tradizione, sarebbero state istituite da Romolo per placare l’anima del fratello Remo e scongiurarne la vendetta. Ovidio racconta nei Fasti che ogni pater familias attraversava la casa nel buio della notte e si gettava alle spalle delle fave nere recitando la formula Manes exite paterni (spiriti degli antenati andatevene!). Questo incontro nelle tenebre era l’occasione per un dialogo con i propri cari estinti, ai quali si potevano chiedere notizie, favori e intercessioni. Ma era assolutamente vietato voltarsi per guardarli. Perché, come racconta il mito greco di Orfeo ed Euridice, il passato deve restare nella dimensione del ricordo ma non può tornare senza confondere la vita e la morte. Nel 609 Papa Bonifacio IV rimpiazza queste feste pagane con il giorno di Tutti i Santi, che di fatto sono gli antenati totemici dei cristiani. Nel 730 un altro pontefice, Gregorio III, sposta le celebrazioni da maggio a novembre, per contrastare anche sul versante festivo l’avanzata dei celti. Il suo bersaglio è, infatti, la festa di Samhain, che letteralmente significa “fine dell’estate” e si celebrava il 31 ottobre. Segnava l’inizio di quel tempo morto in cui le greggi tornano nell’ovile e i campi riposano. Una faglia del calendario tra il vecchio e il nuovo anno che lasciava aperte le porte dell’aldilà per una notte. Si tratta di una credenza pressoché universale, perché una delle cose che distingue l’uomo dagli altri animali è proprio il culto dei defunti. Che è all’origine di tutte le religioni. Così le società si concedono un time out al di fuori della storia, per riallacciare i fili della relazione con chi non c’è più. Quella che Foscolo nei Sepolcri chiama «celeste corrispondenza d’amorosi sensi». E soprattutto per immaginare che cosa c’è oltre la deadline dell’esistenza. Serenità o dolore, pace o paura? Come fa Dante nella Divina Commedia, quando smarrisce la diritta via e va dritto all’Inferno. Dove interroga tutte le anime che incontra sulla loro morte per capire quale sia il senso della vita. Il sommo poeta in fondo ha sublimato in poesia quel che era ed è un sentimento comune. Il desiderio di sapere come va a finire e il bisogno di stringere un patto di solidarietà tra vivi e morti. Due istanze che più prosaicamente animavano anche i nostri nonni, quando lasciavano sul tavolo della cucina o sul davanzale della finestra acqua e cibo per ristorare le anime di passaggio. Gesti concreti per tradurre in azioni le astrazioni della teologia. Come l’esposizione delle zucche intagliate come teste e rischiarate dai lumini. A Orsara di Puglia, in provincia di Foggia, le chiamano “cocce priatorije”, cioè teste del Purgatorio. Una tradizione italiana che precede di molti secoli quella importata dagli Usa. Ma lo stratagemma più geniale di Sapiens per esorcizzare la paura del tu per tu con i cari estinti è incorporarne simbolicamente il ricordo, mangiando cibi rituali che consolano l’anima e il corpo. Come i “torroni dei morti” che abbondano nelle pasticcerie del centrosud. I biscottini a forma di tibie e teschi che in Sicilia chiamano “ossa di morto”. E poi ci sono le fave, sia in versione salata che dolce. Nel Triveneto si consumano avidamente le “favette dei morti”, dei pasticcini colorati e ricoperti di granelli di zucchero a base di pasta di mandorla. In Lombardia si affetta il “pan dei morti”, in Toscana il “pan coi santi”. In Puglia si prepara la “colva”, detta anche “grano dei morti”, dove i semi vengono bolliti e aromatizzati con mosto cotto, noci e cannella. E in Sardegna è il periodo dei “papassinos”, a base di semola di grano, uvetta, miele, noci e mandorle. Insomma, nella tradizione italiana il dolcetto c’è sempre stato. E adesso dagli Usa è arrivato anche lo scherzetto che progressivamente ha colonizzato l’immaginario della vigilia di Ognissanti, trasformando la commemorazione dei defunti in un happening cimiteriale che muove un business a nove zeri. Ecco perché in questo momento Halloween, promossa alla grande dal cinema, dalla letteratura horror, dalle serie tv, dai videoclip, dall’industria dei gadget, gode dei favori del pronostico. Mentre la nostra Ognissanti per ora è come una squadra senza guida. Perché l’allenatore è stato espulso dalla secolarizzazione della società che ha liquidato le feste religiose come residuo di un passato oscurantista e adesso ne rimpiange la scomparsa. Comunque, il campionato delle tradizioni è lungo perché si gioca sulla scala dei secoli. E anche se per il momento Halloween sembra inarrestabile, in realtà sta solo vincendo le prime partite. Ma alla fine non è detto che lo scudetto sia suo.