la Repubblica, 31 ottobre 2025
Riscossa influencer i loro marchi crescono e oggi valgono oro
La moda corre. E, correndo, consuma a tutta velocità tendenze e personaggi. Anche per questo diversi osservatori, negli ultimi tempi, avevano dato per virtualmente esaurito il fenomeno degli influencer. Sembrava aver fatto il suo corso, tanto più che in Italia, di recente, a tenere banco sono state le vicende legali che hanno coinvolto le più famose, dal pandoro-gate di Chiara Ferragni all’assunzione (e poi la mancata stabilizzazione) di una dipendente incinta da parte del marchio di bijoux Amabile di Martina Strazzer. Ma le cose non stanno così. Come dice un addetto ai lavori che vuole restare anonimo, «non sono gli influencer a essere in crisi, ma la moda: se i consumi si fermano e i fatturati crollano, c’è ben poco che possano fare». In questi anni le attività e il campo d’azione dei content creator non si è ridotto: si è affinato, diventando sempre più preciso ed efficace. Le cifre parlano chiaro: secondo uno studio di Goldman Sachs, l’economia globale mossa dai creator digitali nel 2027 toccherà i 500 miliardi di dollari, contro i 360 del lusso. Altro che crisi, è un’apoteosi. Questo spiega il crescente successo dei brand fondati e gestiti direttamente dagli influencer. Non linee frutto di accordi con qualche gigante del settore, in cui il loro apporto si limita a una manciata di post, ma marchi finanziati indipendentemente, con una storia e un’estetica forte, ora tra i fenomeni più interessanti del mercato. Il caso più eclatante è Rhode, la linea beauty di Hailey Bieber, nipote di Alec Baldwin, moglie di Justin Bieber, it girl a tempo perso, che ha da poco ceduto il marchio al colosso del beauty Elf per un miliardo di dollari. Ma ci sono anche i golf in cashmere colorato di Guest in Residence, un’idea della top model Gigi Hadid, 77 milioni di follower su Instagram; Amiya, il basico di lusso di Aimee Song, 7 milioni di follower, o gli accessori Made in Italy Aureum Collective, di Cass DiMicco. E l’elenco è lungo. Determinante è la credibilità dell’offerta: deriva dalla corrispondenza tra il mondo “narrato” e chi lo ha ideato. Lo spiega bene Matteo Baldi, ad Europa di Ykone, agenzia di influencer marketing che opera in tutto il mondo. «Dieci anni fa bastava mettere un prodotto in mano a una figura popolare dei social per fare il tutto esaurito», spiega. «Non è più così. La consapevolezza del pubblico si è molto sviluppata: serve una comunanza di vedute e filosofia tra creator e prodotti. Quando nasce questo legame, si ha il fenomeno di costume. Ne è un esempio l’Estetista Cinica, diventata famosa sui social si è evoluta in un marchio, Veralab, da 74 milioni di euro». Al di là della capacità di pensare al progetto giusto, a rendere certi influencer una potenza commerciale è la piattaforma di comunicazione che si sono costruiti. «Per diffusione e intrattenimento, i social media hanno preso il posto occupato dalla tv. Gli influencer partono già con una platea folta e interessata: le altre start up non hanno un simile vantaggio e si vede». I creatori digitali oggi sono perciò il contenuto editoriale, il prodotto pubblicizzato e il canale di diffusione. Questo da una parte permette loro di mantenere una programmazione “trasversale”, in cui promuovono tanto i loro marchi quanto quelli altrui e, dall’altra, sta cambiando il modo di fare shopping sul digitale. Sono infatti sempre di più i sistemi studiati per rendere veloce l’acquisto dei prodotti inseriti nei loro post, evitando il passaggio dagli e-store dei marchi promossi. Il più ambizioso è ShopMy, che offre sezioni curate di firme social quotate, con selezioni mirate per il loro pubblico. Esemplare quella di Nara Smith, emblema del glamour trad wife: lei vi ha inserito la sua linea di abiti anni Cinquanta, i capi couture che indossa nei suoi video di cucina, i pannolini che usa (è appena diventata madre per la quarta volta a 24 anni) e l’olio all’aglio di sua produzione. Le vendite vanno alla grande.