Corriere della Sera, 31 ottobre 2025
Intervista a Emanuele Filiberto di Savoia
Emanuele Filiberto di Savoia, sua zia Maria Pia di lei ha scritto che, della vostra famiglia, è quello che si è fatto più amare dagli italiani. Sarà stata l’allure da principe delle fiabe, biondo e con gli occhi azzurri?
«Sono sempre stato me stesso. Sono una persona semplice, riconoscente. E so di essere stato fortunato: la mia famiglia ha potuto offrirmi tanto, ho frequentato scuole internazionali. Agli italiani dico grazie, anche a quelli che non mi amano: il problema è loro».
Si è sforzato parecchio per farsi ben volere...
«Ho costruito un rapporto semplice con la gente, parlo con tutti e mi piace molto. Avrei potuto non fare “Ballando”, non fare Sanremo, restare in un castello sulla poltrona».
A Sanremo 2010 lei e Pupo arrivate secondi con «Italia amore mio». Pupo ha poi affermato che non vinceste perché arrivò una telefonata dal Quirinale...
«Rispetto a questa affermazione del mio amico, devo dire che non ne sono al corrente, non ci credo e non voglio crederci. Com’è andata è andata. Sanremo non lo avevo mai visto prima, né l’ho riguardato dopo».
Ha dichiarato di non essere bravo a esprimere i sentimenti. Ma lei cosa provava, per esempio, rispetto ai traumi della sua famiglia?
«Crescendo in esilio all’estero, c’è stata una separazione tra reale e irreale. Il reale era la mia vita quotidiana, la scuola, gli amici in tutto il mondo, la bici, l’hamburger, le bocce, gli scacchi...».
E l’irreale?
«Era quello che mi raccontavano... come le storie di principi e regine: per me era l’irraggiungibile. Mi dicevano che la mia famiglia ha unificato l’Italia, che avevamo mille anni... ma non era ciò che vivevo. Me ne sono reso conto molto più tardi, quando nel 2002-2003 sono tornato in Italia. Toccandola con mano ho capito la realtà».
Una realtà all’altezza delle sue aspettative?
«Molto di più. Avevo paura di come sarebbe stato... ho capito che potevo entrare finalmente nel più bel Paese del mondo. Un luogo con un passato incredibile di cui casa Savoia è stata protagonista. La storia è stata scritta dai vincitori e si sono demonizzati i Savoia, eppure una grande parte della popolazione ci amava, rispettava e ricordava. Lo capii anche a “Ballando con le stelle”, il televoto fu un record mondiale per il format. Emanuele Filiberto non era più solo il principe».
E cosa?
«Potevo rappresentare il figlio, il nipote, il marito, il fratello».
È cresciuto in un clima di rabbia, a causa dell’esilio?
«Non è stata rabbia. È stata la “stupidità” dell’esilio. Una norma obsoleta che da cinque anni dopo il referendum non avrebbe più dovuto esistere. La Repubblica è nata traballando e incolpando i Savoia di ogni cosa. Io per primo, tornato in Italia, ho condannato fermamente, con il Rabbino Capo Di Segni, le leggi razziali. Il Re firmò un documento vergognoso».
Solo debolezza politica?
«È facile giudicare col senno di poi. Fu obbligato. Eravamo nella Seconda guerra mondiale, in alleanza con Hitler per volontà di Mussolini, votato dalle Camere. Il Duce voleva sbattere fuori il re e mettere il Duca d’Aosta, più vicino a lui. Non sdogano quell’atto ignobile, ma va contestualizzato. Oggi preoccupa il vuoto di identità e valori, colmato da estremismi. È triste vedere giovani fare il saluto romano: studiate la storia».
La rifarebbe una campagna per il Parlamento Europeo?
«Come per gli alcolisti: “Per oggi non bevo”. La politica può essere una dipendenza. Oggi dico no. Ma domani non si sa».
Sua figlia Vittoria è l’«erede designata». Ma le interessa davvero?
«Penso che sia Vittoria che Luisa debbano crearsi le loro vite. Luisa studia giurisprudenza mentre Vittoria sta seguendo le orme di sua mamma Clotilde (Courau, ndr), e fa l’attrice. Sta girando una serie per France 2 e sarà protagonista di un’altra su Amazon Prime. Vorrei che incontrassero l’amore, che si sposassero e avessero dei bambini. Spero di diventare nonno».
Lei l’amore l’ha nuovamente trovato con Adriana Abascal.
«Ci hanno avvicinati amici comuni. Una sera l’ho invitata a cena a Parigi da Fagnoli ed è scattata quasi subito una scintilla. La vita continua. Con Adriana stiamo bene, ci vediamo spesso anche se lei vive in Francia per il suo lavoro, mentre io sto a Montecarlo. Abbiamo passato l’estate insieme. Va d’accordo con mia madre e, credo, con le mie figlie».
Anche con Clotilde Courau vivevate separati. Lei funziona a distanza?
«Amo la mia solitudine, dopo giorni intensi ho bisogno di staccare, stare solo e riflettere. Poi torno dalle persone che amo. Ho fede: posso parlare con qualcuno senza vederlo, con Dio come con mio padre».
A proposito di Vittorio Emanuele: che papà è stato?
«Ha sofferto molto da giovane. Immagini a sette anni, nel ’46, salutare un milione di persone dal balcone del Quirinale e cinque giorni dopo trovarsi su una barca verso il Portogallo, senza una lira, e poi in una casa senza riscaldamento. Non ha avuto il calore dei genitori. Mi disse: “Ti voglio dare l’amore che non ho ricevuto”».
E l’ha fatto?
«Me l’ha dato sempre. Passavamo tantissimo tempo insieme: sci, pesca, caccia, camminate, rally, moto... Era straordinario, simpatico, carismatico. Mi manca tanto».
Le è piaciuto il documentario di Beatrice Borromeo?
«In alcuni momenti sì. In altri, c’è solo sensazionalismo, con una sola parte a parlare. Basta, mio padre ha diritto di essere lasciato in pace».
Qual è il ricordo più bello con i suoi genitori?
«Le vacanze a New York, dove avevamo un piccolo appartamento. Quelli erano giorni in cui non c’era la servitù. Facevamo colazione insieme, noi tre, e le uova le preparava mio padre. Diventavamo una famiglia “normale”, in cui vedevo mia mamma rifare il letto, per esempio».
Perché, con Clotilde Courau, non volevate comunicare la separazione?
«Perché non riguarda nessuno. Siamo riservati. Finché non decidi di rifarti una vita non sei obbligato a dirlo al pubblico. Siamo in ottimi rapporti».
Da subito?
«All’inizio non è stato semplice. Ho sbagliato a non parlarle immediatamente di Adriana e l’ha saputo dalla stampa. Mea culpa. Consiglio a chi legge di non fare il mio errore. Anche se eravamo già separati, avrei dovuto informarla prima».
Ha ammesso di averla tradita.
«I tradimenti succedono. A volte rafforzano, perché ti rendi conto che non è quello che vuoi».
Si sente un buon padre?
«Proprio stamattina mi sono preso un “cazziatone” da Clotilde perché non sono abbastanza severo. Ma i padri non sono severi, con le figlie femmine ancora meno. Clotilde è più “leonessa”».
Qual è il suo lato migliore?
«Sono positivo, e ho una grande volontà: mi tiro fuori dai problemi da solo. Momenti di fragilità ne ho avuti, come tutti, ma li tengo per me. A un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: “Non te lo puoi permettere. Vai”. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. E posso ancora bere».
Da chi ha ereditato questo lato?
«Da mia madre. Siamo molto vicini. Ha 91 anni. Ha trascorso l’estate con noi in Corsica, a Cavallò».
È una donna misteriosa Marina Doria.
«È stata una madre molto buona e una moglie eccezionale».
Ha paura di perderla?
«Non ci voglio pensare. Mi spaventano malattia e sofferenza, non la morte. Prima di morire mio padre ci disse: “Questa è la mia ultima sera”, se lo sentiva».