Corriere della Sera, 31 ottobre 2025
La fila di cadaveri delle favelas. Un massacro che rafforzerà la mafia
Nelle favelas Complexo do Alemão e Complexo da Penha, a nord di Rio de Janeiro, il Bope (le forze speciali di polizia), con altre polizie locali, ha commesso un massacro senza sapere nemmeno chi abbia davvero ucciso. Volevano smantellare il Comando Vermelho, la mafia che comanda Rio da quasi mezzo secolo. Il principio lo conosco: «Chiunque in quelle fogne è complice, se vuoi colpire i narcos devi colpire tutti». Così ragionando, hanno sparato a chiunque avesse un’arma, a chiunque scappasse, a chiunque fosse vicino ai depositi di armi e di coca. Risultato? 130 morti (ma saranno molti di più), un centinaio di arrestati e una novantina di armi lunghe sequestrate. Intanto il capo latitante del Comando Vermelho, il gruppo che controlla il crimine a Rio, Edgar Alves de Andrade, detto Doca, è libero, messo al sicuro appena l’operazione è scattata. Un’operazione, quella voluta dal governatore dello Stato di Rio, Cláudio Castro, bolsonarista, che ha un solo obiettivo: dimostrarsi simile a Nayib Bukele, presidente di El Salvador. Arrestare tutta la «feccia», sbatterla in prigione, ucciderla, ripulire i ghetti. È davvero il metodo per contrastare i cartelli? No. È il metodo per regolare i conti con loro, come in un conflitto tra poteri sullo stesso territorio.
Il Brasile è diviso tra due grandi gruppi mafiosi: il Primeiro Comando da Capital (Pcc) e il Comando Vermelho (Cv). Il Pcc è un’organizzazione mafiosa di San Paolo: gerarchie rigide, si ispira esplicitamente alle mafie italiane, da cui ha mutato metodo, rituali e operatività. Negli anni ’90 i fondatori, in carcere, studiarono i clan italiani e si interfacciarono con gli affiliati italiani per darsi un’organizzazione. Il Comando Vermelho ha invece una struttura da gang, da guerriglia: gruppi che si federano tra loro, bande che sottostanno a regole di volta in volta decise dal capo. Il Pcc governa São Paulo, il Centro-Ovest (Mato Grosso, Mato Grosso do Sul), il Sud del Brasile e parte del Nord Est, controllando le rotte da Bolivia e Paraguay.
Il Comando Vermelho domina Rio de Janeiro, l’Amazzonia (Amazonas, Pará, Acre) e parte del Nord Est. Strutture criminali mastodontiche, tra le più grandi del pianeta. Secondo il Fórum Brasileiro de Segurança Pública (Fbsp), i guadagni totali (che vanno dalla gestione del petrolio, ai furti, all’azzardo, alle scommesse e al calcio) sono stimati in 43 miliardi di dollari, di cui 16 per il Comando Vermelho e 27 per il Pcc. Altri studi, basati unicamente sulle movimentazioni bancarie, parlano di circa 27 miliardi di dollari. Cifre paragonabili alla Finanziaria di uno Stato. Le organizzazioni mafiose brasiliane hanno creato una sorta di «Commonwealth lusitano»: il Pcc investe in Portogallo, il Comando Vermelho in Angola e Mozambico, ma via via si stanno allontanando, portando coca in Oceania. Se nel 1500 i portoghesi avviarono la colonizzazione del Brasile, oggi i cartelli brasiliani colonizzano il Portogallo. Ma il Cv non sempre ha seguito la stessa linea. Fernandinho Beira-Mar e Marcinho Vp (quest’ultimo definito il suo «vero re») sono in carcere, ma il loro carisma, soprattutto quello di Marcinho, li rende ancora capi di fatto. Le prigioni in Brasile sono vere e proprie città (il Brasile ha 835 mila detenuti!): senza negoziare con i cartelli la gestione sarebbe impensabile. Doca, il boss sfuggito al blitz, è fautore della militarizzazione degli abitanti delle favelas. «Dare armi a tutti», è il suo modo per rendere il Comando temibile, ma ha permesso a Castro di legittimare un’entrata ancora più violenta del solito. Quando il capo era Nem (Antônio Bonfim Lopes), la strategia era diversa: demilitarizzare, lasciando i fucili solo a piccole cellule. E costruire così un sistema in cui la droga, pur restando un segmento importante, non innescasse faide, agendo come un «petrolio» a sostegno della comunità. Nem temeva esattamente i blitz violenti come quello di martedì, sempre accaduti ma mai così annunciati e con così palese brutalità (il Bope ha sempre nascosto le sue violenze), questo è definito il peggiore della storia.
La politica non seppe sfruttare la fase gestita da Nem: avrebbe dovuto aggredire il sistema economico-finanziario legato al narcotraffico. Non lo fece allora e non lo fa oggi. Entrare in una favela e sparare a vista comunica «ordine»; entrare nel sistema bancario o edilizio significherebbe sabotare i profitti più veloci dell’economia del Paese, e quindi perdere consenso. Ecco il tema inaffrontato e inaffrontabile. Attaccare il segmento militare, farlo su quello economico è impossibile. Comando Vermelho e Pcc hanno in mano società di agenti di calciatori, petrolifere, minerarie, di trasporti; spostano voti, investono in benzina, hotel e ristoranti. Castro, come Bukele in El Salvador, usa la guerra contro i narcos per creare uno stato d’eccezione permanente e legittimare uno Stato in cui si può sparare e arrestare senza garanzie: una politica di sterminio travestita da sicurezza. È un «autoritarismo carcerario» che neutralizza la violenza visibile, ma crea un sistema di repressione costante. La classe media si sente apparentemente tutelata perché le strade vengono «ripulite», ma libertà, indagini e diritti vengono compromessi. Più lento da comprendere rispetto alla fila immediata di cadaveri dei presunti «cattivi». Il massacro è servito? È servito a Castro, in perfetto stile populista, a militarizzare il consenso, mostrando forza contro il narcotraffico ma senza toccarne le reti economiche e politiche. In pratica, ha favorito la riorganizzazione dei cartelli più forti, come il Comando Vermelho, che dopo ogni blitz recuperano territorio e legittimità tra gli abitanti. Nessuna metropoli può essere compresa se non si parte dalle organizzazioni criminali che la gestiscono: sia con un controllo territoriale militare, come a Rio, sia con un controllo economico e solo parzialmente militare, come a Parigi. Ciò che ha fatto Castro può sembrare efficace solo a uno sguardo inesperto ed emotivo. Del resto, il Bope non può risolvere il narcotraffico: può solo arginarlo, quando non peggiora la situazione. Nessuna riforma è in corso. Non c’è nessuna reintegrazione sociale. Anzi, torna una violenza che porterà, come sempre accaduto, all’avvicendamento di nuovi capi. Questo massacro non indebolirà, ma rafforzerà la mafia brasiliana.