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 2025  ottobre 28 Martedì calendario

Intervista a Steve Della Casa contadino

«Mi interessano le zucche che si mangiano. Le altre, quelle finte che ci osservano dalle vetrine e dai manifesti pubblicitari le trovo inutili come tutte le feste di importazione». Steve Della Casa, per una volta, rivela il suo aspetto meno noto: quello del contadino. Lo racconta dal suo orto di Settime d’Asti, paese di 500 anime «metà delle quali composte da rifugiati grazie a un’iniziativa di “ripopolamento” della vecchia giunta» immerso nel verde tra Asti e Chivasso.
Com’è andato il raccolto?
«È stata una buona stagione, lo sanno bene i miei amici cui ho regalato una parte di esso, Gabriele Ferraris in testa».
Come utilizza le zucche?
«Vellutata. Le tagli a dadi, cuoci con un po’ d’acqua e metti tutto in frullatore. Poi te le mangi con una spolverata di pepe, un filo d’olio e qualche crostino. Ma mi piacciono anche in agrodolce, in padella e con una bella salsiccia e poi, ci sono i dolci di zucca».
Quando nasce questa passione?
«Da bambino, a Gavi, facevo compagnia a mio padre che aveva questo hobby. Ho imparato da lui, ma anche da suo cugino. Avevano due orti confinanti e si facevano un’allegra concorrenza».
E come arriva a Settime?
«Qui c’era la casa di mamma, perché mio nonno negli anni 20 era il direttore della scuola elementare. Io ho ricominciato la tradizione solo a fine anni 2000. Da direttore della Film Commission vivevo a Torino ed essendo più vicino di Gavi, potevo andarci spesso».
E come è diventato esperto?
«Ho imparato da grandi amici come Paolo Rizzo e Piero Zucca, maestri che mi hanno trasmesso i segreti della terra, come se e quanto letame mettere e come combattere i parassiti con la cenere; e soprattutto la rotazione delle colture, pratica che i vecchi conoscevano».
Quanto tempo dedica al suo orto?
«Dipende. In media, quando arrivo qui, mi alzo alle 5 e lavoro fino a tardo pomeriggio. Il campo è posizionato in una conca dove un lago si è ritirato, e ciò rende il terreno molto umido. Pomodori, fagioli e peperoni crescono senza nemmeno bagnarli».
Il ciclo annuale?
«I piselli qui si raccolgono a maggio e si piantono ai Santi. Poi c’è il basilico a fine aprile; le fave a metà maggio. A meta giugno maturano pomodori, peperoni e melanzane e a metà luglio le patate e i ceci. Infine, i fagioli arrivano verso Ferragosto».
Non mancano i cavoli?
«Hanno bisogno di molte cure e i conigli selvatici te li mangiano. Anche con le patate devo fare attenzione per colpa dei cinghiali che non mangiano i tuberi ma i vermi intorno».
Di cosa è più orgoglioso?
«Dell’aglio, che diventa ingrediente per la bagna cauda, e pomodori, talmente buoni che ad agosto me li porto a Locarno per avere riserve per tutto il festival».
Qualcuno l’aiuta?
«Molti amici si offrono, ma preferisco fare da me. È più faticoso, ma è la maniera migliore per staccare completamente dai soliti impegni».
Sembra quasi che punti all’autosufficienza. Ci riesce?
«Mio cugino Bruno diceva che voleva arrivare al 30 per cento del fabbisogno e si era messo a coltivare persino il grano. Io non ci riesco, ma con la stufa a legna e i pannelli solari, lo sono diventato almeno per luce e calore. Un giorno però vorrei avere un po’ di galline».
Il suo prossimo obiettivo?
«Io avevo una vigna inutilizzata da anni e il mio amico Paolo Rizzo un nocciolo poco produttivo. Così abbiamo unito le forze e piantato 180 ulivi. A Ognissanti contiamo di fare il primo, seppur piccolo, raccolto».
Uliveti in Piemonte?
«Il famigerato cambiamento climatico oggi lo permette».
Viene fuori che andrà davvero in pensione?
«Non vorrei morire su una scrivania. Per quello non ho più resistenza, ma per la terra sì, ne ho ancora tanta».