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 2025  ottobre 30 Giovedì calendario

Intervista a Kristian Ghedina

“Una pizza e una birra”. Uno dei gesti più famosi della storia dello sci è nato così. Ma questo ve lo raccontiamo dopo. “Una vita con il vento in faccia”, Kristian Ghedina la racchiude così, in una frase, la sua storia. Il vocione è lo stesso di quarant’anni fa: spesso, profondo, che pare uscire da un tronco. In mezzo c’è la sua storia: vittorie (13 nello sci e altre nell’automobilismo), cadute, fratture, rinascite. Tutto mescolato e agitato, molto, con una spruzzata di sana follia. È tutto nel libro Ghedo, non ho fretta, ma vado veloce (Minerva) che sarà presentato venerdì a Cortina per una Montagna di Libri.
La vittoria della sua vita?
La prima. A Cortina, casa mia. Ma c’era la commozione…
Lei commosso?
Commozione cerebrale. La gara prima mi ero fatto male. Il medico voleva fermarmi. Le costole erano a pezzi, ma gli ho detto che stavo bene. Per niente al mondo avrei rinunciato alla mia neve. Così mi sono buttato. Madonna, però, che dolore.
Cosa si prova quando si apre il cancelletto?
Il vuoto ti inghiotte. Velocità e adrenalina. La sberla del vento in faccia, non sai se voli o precipiti. Devi avere un controllo assoluto del corpo, fino al mignolo. Ma sei così vivo!
L’adrenalina è droga?
Non ho mai fumato, mai usato sostanze. Sono drogato di adrenalina. L’effetto è lo stesso: le crisi di astinenza, la dipendenza.
Com’è cominciata?
Mia mamma.
Le va di parlarne?
Era come me, si buttava. Il vuoto non ci spaventa, ci attira.
Poi quella mattina…
‘Andiamo a fare il Canalino del Cristallo’, dicono mamma e papà, la pista più difficile. Io no, perché me lo sentivo. Dopo vedo l’elicottero. Arriva mio padre e mi porta dai nonni. Ce l’ha detto il giorno dopo, quando era finita. È caduta per 600 metri, si era rotta tutto. Avevo 13 anni. Adesso quella pista la chiamano il Canalino Adriana (a pronunciare il nome la voce si fa più sottile).
Altri avrebbero smesso.
Il sogno della velocità l’ho ereditato da lei. Sci, auto, moto, basta andare veloce.
Già in moto…
Ero bambino. Lo zio lascia il Vespone 150 in garage, ci salgo e… mi schianto contro la vetrata. Il sangue esce a schizzi dal polso. Comincio a spararlo sui muri e a urlare: sono l’Uomo Ragno.
Roba da far venire un infarto al papà.
Ocio, ocio, ocio. Occhio, stai attento, diciamo in Veneto. Se ripenso a mio padre sento sempre quelle parole.
Si può capire.
Ero impegnativo. Ti giravi un attimo e mi ritrovavi su un albero. Papà aveva già avuto il dolore della mamma e si è trovato il figlio che si buttava giù per le piste a centocinquanta all’ora.
Gli esordi?
A Cortina, a 15 anni. Eravamo Alberto Tomba e io.
Chi era il più bravo?
Il terzo.
Non scherziamo.
Giuro. Gianluca Vacchi.
Ma poi si è messo a fare l’influencer e tutte ’ste menate qui (ride).
Tomba e Ghedina, i rivali.
Balle dei giornalisti. Lui ha vinto molto di più.
Un campione umile, rarità.
Eravamo diversi. Io ero pazzo della velocità, lui no. Io montanaro, lui cittadino. A lui piacevano le ragazze… be’, anche a me.
Fino alla spaccata in volo a 137 km all’ora sulla pista più famosa, la Streiff di Kitzbühel. Perché?
Una pizza e una birra.
Dica la verità: è stato per la gloria, per i social?
Macché social, non c’erano ancora. Mio cugino mi fa: ‘Scommetto che non hai il coraggio’. E io l’ho fatto. Per la pizza, la birra. Però sono arrivato sesto.

Nessuno si ricorda il podio di 21 anni fa. Quella spaccata è per sempre. Ma poi un giorno tutto finisce.
Ci pensavo andando come un matto per le piste: preparati che finisce. Poi quella mattina arriva. Ho preso a correre con le auto. Senza velocità non vivo.
Cosa fa a 56 anni?
Me lo chiede anche papà: quando cominci a lavorare? Ho preso una pizzeria, ho messo da parte qualcosa. Sto bene. Se fossi stato calciatore sarei milionario. Ma sono felice così.

Due figli piccoli. E se si buttassero giù per la Streiff?
I bambini non percepiscono il pericolo, qualche limite glielo devi mettere.
Kristian saggio?
Mai. Cerco di non essere un padre asfissiante. Non mi interessa che diventino campioni.
Non ha paura di niente?
Sì, della malattia. Sugli sci no, morirei facendo ciò che amo.
Ci crede in Dio?
Non ci penso. Qualcosa forse c’è, ma non lo saprò mai.
Però il segno della croce prima di buttarsi per la Streiff se lo faceva…
Non si sa mai! (ride di nuovo).