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 2025  ottobre 29 Mercoledì calendario

«Che choc il gesto della P38. Ma non potevo farmi mandare via, lo dovevo a mio padre»

Emanuele Fiano, cos’è successo a Venezia?
«Ero stato invitato da un’associazione studentesca di Ca’ Foscari, Futura, per parlare di pace in Medio Oriente: due popoli, due Stati».
Le è stato impedito.
«Il giorno prima un’organizzazione di giovani comunisti ha annunciato una manifestazione davanti a Ca’ Foscari: “I sionisti non devono entrare all’università”».
Il sionista sarebbe lei.
«Gli organizzatori, d’accordo con la rettrice e credo con la Digos, hanno spostato l’incontro in un’altra sede dell’università, a San Giobbe, di fronte al ghetto. Sono andato, abbiamo iniziato, per mezz’ora ho risposto alle domande della moderatrice. Poi…».
Poi?
«Hanno fatto irruzione nell’aula una trentina di ragazze e ragazzi, tra cui alcuni studenti di Ca’ Foscari. Si sono disposti lungo le pareti, srotolando striscioni in cui denunciavano il genocidio e intimavano: fuori i sionisti dall’università».
E lei?
«Io ho continuato a parlare, mentre una ragazza urlava a voce altissima per zittirmi, riferendo alla mia persona opinioni che non ho mai avuto: sono sempre stato critico con Netanyahu. Siccome non riuscivano a zittirmi, un ragazzo è venuto alla cattedra, mi ha strappato il microfono e ha cominciato a leggere un mio vecchio articolo per il Foglio, su antisemitismo e antisionismo. Insomma, li abbiamo lasciati sfogare, nella speranza di poter riprendere».
E avete ripreso?
«Non ci hanno lasciato. Non c’è stato nulla da fare, nonostante le proteste del pubblico, che voleva mandarli via. Al che alcuni tra i ragazzi hanno rivolto al pubblico il segno della P38».
Un segno da anni 70.
«Mi ha colpito molto vedere un gesto di minaccia così antico fatto da mani così giovani, più giovani di quelle dei miei figli. Ma io non potevo farmi mandare via. Lo dovevo a mio padre».
Lunedì all’università Ca’ Foscari di Venezia, durante un dibattito sulle prospettive di pace in Medio Oriente organizzato dall’associazio-ne di studenti Futura, un gruppo di attivisti pro Pal ha impedito di parlare a Emanuele Fiano, ex deputato dem e dal 2005 segretario dell’associa-zione Sinistra per Israele
Perché?
«Perché mio padre a tredici anni era stato cacciato da scuola, in quanto ebreo. Così ho avvertito che non me ne sarei andato. Sono arrivati i commessi a mandarci via: l’università alle 19 chiude. Ho risposto: “Non mi faccio sbattere fuori da quelli, aspetterò che se ne vadano prima loro”. Non potevo accettare anche quella prevaricazione».
Ha provato a parlare con quei ragazzi?
«Certo. Ho parlato con il portavoce, che diceva cose assurde. Gli ho spiegato cos’è il sionismo. Ma altri due o tre, guardandomi dritto negli occhi, mi hanno detto: “Di quello che tu rispondi non ce ne può fregare di meno. Tu non devi parlare proprio. Tu non hai diritto di stare nell’università”».
E lei cos’ha replicato?
«“Tu sei tecnicamente un fascista. Perché uno che vuole sopprimere le parole dell’altro non appartiene alla democrazia ma ai totalitarismi”. A quel punto si sono bloccati. Sono usciti. E io sono uscito dopo di loro».
Con quali sentimenti?
«Ero scioccato. Pensavo che avrebbero parlato e poi mi avrebbero lasciato proseguire. E poi quel gesto della P38. Quegli occhi di ghiaccio, senza alcun patimento, con cui mi dicevano: tu qui non puoi parlare. Ho ripensato agli anni bui. Agli anni di piombo. Al 1938. E mi sono commosso pensando a papà. A quando il preside gli disse: Nedo Fiano, tu te ne devi andare».
Secondo lei l’hanno attaccata in quanto difensore di Israele, o in quanto ebreo?
«Non direttamente in quanto ebreo. Se devo dire la verità, all’inizio del suo sermone il portavoce ci ha tenuto a dire: noi non siamo antisemiti, rifiutiamo l’antisemitismo. Ma se tu rifiuti il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, è antisemitismo. Un conto è criticare la storia di Israele, il che rientra nella libertà di pensiero e di espressione. Ma se tu neghi che un popolo possa costituirsi in Stato, allora sei antisemita. Poi si può vedere come si esplica questo diritto. Si può discutere dei confini: io ad esempio sono da sempre per la restituzione dei Territori occupati. Ma se tu mi neghi il diritto di avere uno Stato, allora l’antisionismo si trasforma in antisemitismo».
Suo padre le ha raccontato di quando fu cacciato da scuola?
«Tante volte, non solo a me. Ma la sua vita, su cui stiamo girando un film, l’ho scoperta solo quando avevo quattordici anni. Prima non me ne aveva mai parlato. Di quel numero tatuato sul braccio – A5405 – diceva che era un numero di telefono. Poi un giorno mi portò a una conferenza, in una sala della comunità ebraica. E gli ho sentito raccontare la sua vita».
A cominciare dal 1938.
«La cacciata da scuola fu uno choc. Perché nessuno gliene disse la ragione. Nessuno gli aveva spiegato le leggi razziali, ammesso che si possano spiegare. E poi ricordava il silenzio dei compagni, mentre si alzava dal banco e usciva piangendo. Nessuno di loro si è fatto vivo per sessant’anni. Quando li rivide a una festa, pensò di leggere una lettera di rimprovero che aveva preparato. Ma poi rinunciò».
Suo padre sopravvisse ad Auschwitz.
«Cinque anni dopo la cacciata da scuola, nell’ottobre del 1943, riuscì a nascondersi dai primi rastrellamenti nazisti, nella sua Firenze. Ma doveva uscire per fare lavoretti in nero e poter mangiare. Lo presero il 6 febbraio 1944 in via Cavour, in pieno centro. Due mesi dopo era a Fossoli, nel campo di smistamento, dove lo raggiunsero i suoi genitori. Poi presero gli altri parenti, per ultima la nonna. Il 16 maggio partirono per Auschwitz. A ottobre papà fu trasferito nei lager nel Nord della Polonia. Venne liberato dagli americani l’11 aprile 1945 a Buchenwald. Il più bel ricordo della sua vita era il profumo di pulito del soldato che lo liberò: avevamo il bagno pieno di quelle saponette all’arancia, marca Lifebuoy, che papà comprava a Livorno al mercato americano. Degli undici membri della famiglia Fiano fu l’unico a tornare. Tutti gli altri sono stati uccisi ad Auschwitz».
Suo padre ha tenuto quasi mille conferenze nelle scuole. Dopo di lui, cominciò Liliana Segre.
«Le ho parlato. Ha iniziato il suo intervento nella commissione del Senato che porta il suo nome, contro l’antisemitismo e il linguaggio d’odio, mandandomi un affettuoso, materno pensiero e abbraccio».
Secondo lei quegli studenti sapevano quel che è accaduto nel ghetto di Venezia? Conoscevano la razzia, opera non dei nazisti, ma dei fascisti italiani?
«Non lo so. Sapevano molto di me, citavano cose che avevo scritto. Non so cosa sappiano della Shoah, e certo non ci pensavano. Per loro io ero un difensore di Netanyahu, un complice della strage dei palestinesi. Un sionista. E ai sionisti è precluso il confronto, il diritto di parola».
Lei è stato per anni bersaglio dell’estrema destra, per aver voluto la legge che vieta i simboli fascisti.
«Vivo sotto scorta da quindici anni».
E ora si ritrova sotto attacco da sinistra.
«Ho difficoltà a pensarli “di sinistra”. Del resto non dico mai la parola al singolare, ma al plurale: le sinistre, le destre. Questi non hanno nulla in comune con me. Le sinistre sono varie. Io sono un socialdemocratico, ho ben presente cos’è stata la dittatura del comunismo bolscevico, Stalin, i gulag. Tutti i veri progressisti sono contro qualsiasi dittatura, contro ogni forma di prevaricazione. Non si può essere di sinistra se si lotta per la libertà di qualcuno prevaricando quella di qualcun altro. Non puoi lottare per la libertà dei palestinesi se neghi la parola a un italiano ebreo che cerca di spiegare le ragioni di Israele».
Oggi l’antisemitismo è a sinistra?
«Ce n’è anche a sinistra. Non nella mia sinistra. Non nel Pd e negli altri partiti. Ma occorre essere molto attenti con la categoria dell’antisemitismo. Criticare il governo Netanyahu è ovviamente lecito. Cancellare il diritto del popolo ebraico ad avere uno Stato diventa antisemitismo».
Vede il rischio del ritorno alla violenza politica?
«Osservo che il conflitto mediorientale ha una sua particolarità, un tale grado di violenza, un tale numero di morti a Gaza, una tale ferocia come quella del 7 ottobre, che questo livello di violenza viene esportato nel dibattito politico occidentale. Il conflitto russo-ucraino non ha generato episodi come il mio. Abbiamo visto striscioni inneggianti al 7 ottobre, definito il giorno della resistenza. Abbiamo visto sventolare bandiere di Hamas. Abbiamo sentito giustificare le esecuzioni sommarie. Un simile livello di estremismo criminale fa sì che i giovani siano presi in una spirale. Dove si arriva, questo non lo so, dipende se ci sono in giro cattivi maestri. Certo, che Liliana Segre, senatrice a vita e superstite di Auschwitz, debba girare con la scorta, la dice lunga su quanta violenza ci sia in giro».