il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2025
Juventus, Repubblica e Ferrari: la maledizione della famiglia di John Elkann
Il terrore, per chi tifa Juventus (e non si accontenta delle versioni di regime propalate da certe redazioni sportive), è che adesso sia finita. E per sempre. Come se una maledizione improvvisa, ma mai più riscattabile, si fosse impadronita – al pari di un demone – della Fidanzata d’Italia, della Vecchia Signora, della squadra del record di scudetti e di Coppe Italia, di solo due Champions (ma sempre meglio di niente), della conquista unica in Italia di tutte le Coppe internazionali possibili, del record di tifosi in ogni contrada dello Stivale, dell’essere infine riuscita a risorgere dalle proprie ceneri di Calciopoli e della Serie B.
Questa volta, ed è proprio questo il terrore, l’Araba Fenice bianconera potrebbe non tornare più a volare. O, perlomeno, spiegano i cattivi: sino a quando a toccare le maglie bianconere, a gestirle e a riempirle di calciatori in carne e ossa, sarà John Elkann. Il nipote del nonno Gianni Agnelli e del prozio Umberto: che hanno vissuto i fasti più grandi di un gioiello e di una passione presi in mano dalla Famiglia ai tempi di Mussolini e agli esordi del ventennio fascista.
Ci sono due battute feroci, persino impietose, che circolano in queste ore a Torino. La prima ha come teatro il Palazzo di Giustizia, le sue aule e i suoi corridoi, dove, ieri mattina, si è svolta la prima udienza per decidere sulla “messa alla prova” del presidente di Stellantis: per consentirgli di uscire dall’inchiesta nella quale è indagato per truffa ai danni dello Stato sull’eredità di sua nonna Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato. Se sarà ammesso, dovrà “formare” gli allievi e i docenti delle scuole salesiane: dopo aver saldato un conto con l’Agenzia delle Entrate per 183 milioni di euro di Irpef e tassa di successione non versate. Così, sono molti gli avvocati subalpini che, in queste ore, ripetono ridendo un mantra che è assieme un po’ sfottò e un po’ rammarico: “Se lo consentono a lui, dopo potremo chiedere la stessa cosa per tutti i nostri clienti”.
La seconda, invece, parte proprio dal “disastro Juve” (l’ultima tappa in ordine di tempo è sempre di ieri mattina, con la cacciata di Igor Tudor da allenatore bianconero) e sembra appioppare al nipote dell’Avvocato l’etichetta sprezzante del “Re Mida alla rovescia” (nel paragone impietoso con il nonno Gianni). Insomma, un “Tutto ciò che tocca, finisce male”, accompagnato da un elenco a volte assai calzante, a volte ai limiti dell’ingenerosità, ma comunque sempre impressionante. La Juventus per l’appunto: quell’esonero dell’allenatore nella prima parte del campionato come non accadeva dal 1969 (Luis Carniglia, nell’anno del Cagliari di Gigi Riva “Rombodituono”), quattro trainer diversi in tre anni (altro record negativo della storia bianconera), oltre 300 milioni spesi nelle ultime due e dissennate campagne acquisti senza neppure un vero campione, una dirigenza mezza straniera e semisconosciuta ingaggiata da squadre di mezza classifica francese, dal Monza retrocesso in Serie B, e il possibile arrivo di chi ha condotto il mercato di un Genoa oggi all’ultimo posto in classifica.
Per proseguire con la Ferrari che non vince più da anni e che si è imbolsita ancora di più con l’ingaggio di Lewis Hamilton (“Lo ha voluto Elkann in persona”, titolavano all’epoca i giornali compiacenti), con la fine ingloriosa del vasto programma editoriale del digital first per i giornali del gruppo Gedi (adesso sono in corso le trattative per vendere La Stampa di Torino a una cordata veneta e Repubblica addirittura a degli armatori greci), e con Stellantis che stenta moltissimo e soprattutto in Italia, spacciando 400 assunzioni interinali e vincolate alle possibili vendite della 500 ibrida come la “svolta di Mirafiori”.
Un motteggio forse esagerato, perché non tiene conto dei successi finanziari e dei dividendi di lusso garantiti da John Elkann agli eredi della dinastia del senatore del Regno Giovanni Agnelli senior, grazie ai meriti dei consiglieri di Borsa inglesi e olandesi e soprattutto alle ottime cessioni (con il concambio tra Fca e Peugeot alla nascita di Stellantis, sia pure mitigato da quel consigliere in più nel Cda a favore dei francesi, e l’addio alla Magneti Marelli e Iveco).
E però con un fondo di verità se si guarda a tutto ciò cui il nipote dell’Avvocato mette mano in maniera diretta: scegliendo uomini, soluzioni e strategie. Con cadute di stile e qualche volgarità innegabili, come quella visita a Donald Trump nello Studio Ovale con la rosa juventina al completo e lui, il padrone, che sventola la maglia bianconera alle spalle del tycoon: e come suo nonno Gianni non avrebbe mai fatto, neppure davanti a un Henry Kissinger.
Sarà davvero una maledizione irreversibile, comunque, almeno per la Juventus? Gli storici juventini ricordano che già in passato, conclusasi la felicissima stagione di un Gianni Agnelli che aveva affidato tutto – armi e bagagli – a Giampiero Boniperti, fu sempre l’ala famigliare di Umberto e degli “umbertiani” a riscattare periodi di insuccessi e di amare delusioni. Prima con il duo Giraudo-Moggi e poi con il ritorno dell’erede di Umberto, Andrea Agnelli. Due gestioni finite in grane giudiziarie pesantissime (Calciopoli e l’inchiesta sui falsi in bilancio), ma precedute entrambe da vittorie ed entusiasmi.
Come finirà questa volta? Nella Torino dei pettegolezzi, dicono che negli ultimi tempi il “diversamente Agnelli” John faccia spesso incursioni nell’Alta Langa alla ricerca di buone partite di nocciole. Per aiutare l’antico marchio del cioccolato torinese, Peyrano, acquistato dal presidente di Stellantis e patron di Exor per rilanciarlo. Non resta dunque che fare gli auguri a chi ama i gianduiotti (e anche agli juventini: come chi scrive).